La svolta
Usa, la Casa Bianca vuole svegliare Bruxelles dal "sonno dogmatico"
Sono in molti a scandalizzarsi del ritrovato dialogo fra America e Russia, che esclude l’Europa e la stessa Ucraina e che avviene al di fuori dei canoni del diritto internazionale. Purtroppo lo scandalo non è tale per chi abbia consapevolezza di quel che è stata da sempre la politica dei rapporti fra gli Stati e la nuda realtà che li governa, basata essenzialmente sui rapporti di forza. È vero che, nel secondo dopoguerra, si era riusciti a costruire un’impalcatura fatta di regolamenti e organismi internazionali che ha garantito una relativa pace nel mondo e a noi europei un notevole benessere.
Dietro quei meccanismi e quelle neonate istituzioni c’era però la forza preponderante degli Stati Uniti, sempre pronta ad essere usata qualora qualcuno osasse andare fuori dai binari e fondata su una deterrenza armata nei confronti dell’altra superpotenza restata in piedi, l’Unione sovietica. I “diritti”, in poche parole, non si reggevano per virtù propria, o per una inesistente “bontà d’animo” degli Stati, ma perché dietro la loro apparente neutralità e pacificità si intravedeva, per chi lo voleva, l’enorme arsenale in mano al “gendarme” del mondo. Noi europei, beneficiari primi di questa situazione, non abbiamo avuto invece, tranne poche eccezioni, occhi e mente per vedere. Abbiamo dato tutto per scontato, gratuito, “naturale”, proprio come quei “diritti universali” di cui sempre più si è riempita la nostra retorica. E quando qualcosa è cominciato a cambiare, a cavallo fra i due millenni, abbiamo preteso di differenziarci dal nostro protettore d’oltreoceano. Abbiamo teorizzato, compiaciuti, di essere “figli di Venere” e non “di Marte”, di poter vincere ogni battaglia con il soft power dell’inclusione e delle buone maniere.
Il più influente filosofo europeo, Jurgen Habermas, ha visto l’Ue come un meccanismo neutro, impolitico, basato sul rispetto di parametri formali e procedure standardizzate. Immaginandola come il primo tassello di un’ordine universale a venire retto da una sorta di super Stato globale. Che poi era un modo per aggiornare la vecchia utopia di Marx. Lo stesso metodo democratico non si afferma per virtù propria ma ha bisogno di essere garantito e protetto da chi potrebbe sempre utilizzarlo per fini non democratici, come ci ha insegnato Popper.
La parabola degli organismi sovranazionali, man mano che il potere “imperiale” americano perdeva forza e lasciava emergere altri soggetti, è da questo punto di vista significativo: abbiamo visto la commissione sui diritti umani dell’Onu finire in mano a Stati che non rispettano tali diritti; la Corte penale dell’Aja incriminare e mettere sullo stesso piano i leader di Hamas e il primo ministro di Israele; l’Organizzazione mondiale della sanità coprire la Cina al tempo del Covid. Quel che sta succedendo in questi giorni assomiglia per noi europei a una sorta di risveglio da un “sonno dogmatico”. Gli Stati Uniti stanno sicuramente lavorando per sovvertire l’ordine internazionale, ma dobbiamo ammettere che era un ordine per molti aspetti già degenerato, che non aveva molto a che fare coi buoni propositi con cui era nato. La speranza è che sia ristabilito in modo vicino agli scopi originari. Probabilmente rimettere in gioco la Russia fa parte di una strategia di contrasto alla Cina. Non bisogna dimenticare, certo, che la Russia di Putin ha aggredito uno Stato sovrano, e questo non può passare in predicato.
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Ma è pur vero che l’Occidente, anche in un’altra occasione, si è alleato con una Mosca di Stalin, per neutralizzare un nemico giudicato più pericoloso. La domanda che l’Europa dovrebbe porsi è da che parte stare nella sfida che si apre fra grossi imperi. Nella consapevolezza di non avere la forza per fare da sola, ma quella per influire a favore di una risoluzione positiva del caos in corso nel mondo.