Confische

Donald Trump si schiera contro gli espropri in Sudafrica

Mirko Molteni

È alta tensione fra Stati Uniti e Sudafrica dopo la minaccia del presidente americano Donald Trump di tagliare i finanziamenti USA al paese se il governo di Johannesburg non recederà dalle nuove leggi sulla proprietà terriera che consentirebbero di confiscare le terre ai proprietari bianchi, in una sorta di rappresaglia a ben 30 anni dalla fine dell’apartheid. Ha scritto Trump sul suo social network Truth: «Il Sudafrica sta trattando molto male certe categorie di persone. Taglierò tutti i futuri finanziamenti finché non sarà completata un’indagine completa sulla situazione. La leadership sudafricana è sotto inchiesta. Stanno sottraendo e confiscando terre». Il riferimento è alla nuova legge firmata lo scorso 23 gennaio dal presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, che consente l’esproprio delle proprietà terriere per «pubblica utilità».

Eufemismo che cela il progetto di ridistribuire forzatamente la proprietà della terra, in maggioranza ancora appartenente ai bianchi, che sono il 7,3% dei 64 milioni di abitanti, a vantaggio della maggioranza nera. Il maggior partito fautore della legge, l’African National Congress di Ramaphosa e del defunto Nelson Mandela, ha parlato di «equa distribuzione della terra a milioni di sudafricani finora esclusi». È lo spettro di una confisca di fattorie e aziende agricole ai danni dei bianchi sudafricani, di origine olandese (boeri) e inglese, come già avvenuto nello Zimbabwe del dittatore Robert Mugabe. Se, a tanti anni dalla fine della segregazione razziale, la logica del nuovo Sudafrica è ancora quella della ritorsione contro i bianchi, che comunque sono la locomotiva economica del paese, ci si chiede per quale motivo i bianchi dovrebbero rimanere fedeli a uno stato e a leggi che li mettono nel mirino.
Non è certo un presagio di convivenza pacifica.

 

Attualmente la proprietà terriera dei bianchi assomma al 72% del totale, ma è chiaro che, a parte la libera eredità famigliare, conta molto che la proprietà e direzione di tenute agricole richiedano anche un certo livello di istruzione. Oltre un secolo fa, nel 1913, i bianchi erano proprietari del 93% della terra, mentre alla fine dell’apartheid, nel 1994, la percentuale era già scesa all’86%. Una saggia redistribuzione può essere solo graduale e non affidata a diktat che intossicano il mercato.

Trump potrebbe ora far mancare i 440 milioni di dollari all’anno di finanziamenti americani al Sudafrica, che servono anche a campagne contro l’Aids. Gli dà manforte Elon Musk, il miliardario suo consulente, egli stesso d’origine sudafricana, scrivendo a Ramaphosa: «Perché avete leggi apertamente razziste sulla proprietà?». Pare uno strisciante razzismo «di rivincita» dei neri contro i bianchi, in un paese che, peraltro, è in frizione con l’America anche su altri dossier, dall’appoggio ai palestinesi in aperta critica a Israele all’appartenenza al nucleo fondante del gruppo BRICS, insieme a Russia, Cina, India e Brasile, in opposizione all’Occidente.

Da Pretoria, Ramaphosa ha così reagito: «Il Sudafrica è una democrazia costituzionale profondamente radicata nello stato di diritto, nella giustizia e nell’uguaglianza. Il governo sudafricano non ha confiscato alcun territorio. La legge sull’espropriazione non è uno strumento di confisca, bensì un procedimento legale previsto dalla Costituzione che garantisce l’accesso del pubblico alla terra in modo equo e giusto». Più caustico, il ministro sudafricano alle Risorse Minerali, Gwede Mantashe, ha ribattuto che «se Trump taglia i fondi noi non daremo più i nostri minerali agli USA», ovvero platino, oro, ferro, manganese, insomma gran parte di quello scrigno di risorse che è il paese africano.