Attore e scrittore turco
Talento pop e di nicchia: il carisma di Akyurek
Tanto è pop quanto è nicchia. Ecco Engin Akyürek, 42 anni, scrittore e attore. Tanto nella marea digitale delle piattaforme e dei social raduna intorno a sé un innumerevole esercito di fan quanto nella letteratura deposita perle di fabula, come il suo ultimo racconto, Pamuk Anne. Pubblicato in Turchia da Kafasina Göre, la rivista di cultura, arte e letteratura, questo racconto – in cui “mamma fiocco” è il tema – è subito diventato un dolce mantra presso i lettori di Akyürek nel mondo, pronti a sfidare la lingua turca per tradurlo e passarselo manco fosse un samizdat clandestino.
Il 31 gennaio prossimo – al suo decimo anno di presenza – finisce la programmazione su Netfllix, qui in Italia, di Kara Para Ask (Black money & Love) e la notizia ha gettato nello sconforto tutto un mondo di donne che riversano su Instagram e negli altri social spezzoni di questa soap dove Akyürek interpreta il ruolo di Omer Demir, capitano di un commissariato a Istanbul, giusto pretesto “poliziesco” per una storia d’amore come solo la sapienza letteraria delle Mille e Una notte, nell’andirivieni dei baci, sa creare: è “l’amore incondizionato” di Omer ed Elif, una ragazza del jet-set internazionale interpretata da Tuba Büyüküstün, un’attrice già celebrata nella filmografia di Ferzan Özpetek con Rosso Istanbul.
A differenza dei commissari nelle nostre fiction – dall’ardimentoso Montalbano su tutti, fino a Rocco Schiavone, per arrivare a Lolita Lobosco o Teresa Battaglia dove lo spirito del tempo domina la narrazione per tramite di ideologia – è l’amore, il più rivoluzionario dei precipitati di realtò, a far da architrave a questa specifica dizi per dirla in turco Akyürek – protagonista di tantissimi titoli nell’industria audiovisiva – è innanzitutto carisma proprio di una personalità che non esprime solamente grande talento attoriale.
Catartico nell’assumere su se stesso stupore e rabbia, dolore e caparbietà, senza cedere alla questua del successo e della facile adulazione, col pathos del distacco, nella sua recitazione come nella sua scrittura – forte di sorriso – Akyürek impone umiltà e meraviglia. Come nell’altro suo “lavoro”, quello di esploratore subacqueo, minuta presenza nella profondità avvolgente di colori e silenzio degli abissi.
Laureato in storia all’Università di Ankara, figlio di un pubblico funzionario e di una casalinga, con niente di sé che trapeli nel gossip, consolidando negli anni un successo pop dopo l’altro, Akyürek è il cuntista di racconti, tutti di tenera e lancinante gratitudine nell’essere se stesso. Kafasina Göre è la sua tribuna, l’industria editoriale anglofona, con quella spagnola e francese ha provveduto alla traduzione di Sessizlik, ovvero “Silenzio”, un secondo titolo è Zamansiz, “Senza tempo”, uscito da qualche mese mentre Pamuk Anne, oggi, nella circolazione pirata e privata è già cult sull’onda del passaparola e delle traduzioni improvvisate.
Lo scopo della vita recuperato per tramite imaginale, questo è Anne che si traduce con la parola mamma mentre Pamuk è cotone, nel senso di morbido, soffice, accogliente in questo caso. Racconta un’intensa storia che ha per protagonista un orfano che non è mai uscito dall’istituto e crede di vedere, dirimpetto al muro che circonda l’edificio, un cane femmina bianca.
L’inizio del racconto è toccante: “Io sono Yasar Yilmaz, un orfano di quattordici anni... Non so chi siano mia madre e mio padre, e da quando ho memoria, vivo in questo posto”. Yasar racconta ai suoi compagni l’episodio, lo arricchisce di particolari, parla loro dei cuccioli che Pamuk Anne, cosi chiama la cagnolina, allatta.
Nonostante la storia diventi di dominio pubblico nessuno riuscirà a vedere la cagnolina coi suoi piccoli, tutti – rapiti dalla dolcezza della narrazione, nel brusio delle voci – comunque sperano di vedere la mamma e la sua cucciolata e solo quando, diventato maggiorenne, lascerà l’orfanatrofio per perdersi nel suo destino fuori dalle mura dell’istituto, proprio dirimpetto al cancello che conduce fuori, il ragazzo vedrà quella mamma, un fiocco di tenerezza e di dolcezza apparsa a modo di sigillo nel proprio cuore esausto.
Akyürek con pochi, essenziali tratti, riesce a fare di tutta la solitudine del piccolo orfano, della mancanza di cura, dell’abbandono, l’oceano della devastante assenza dove il canto della parola “anne” – mamma – diventa luce nell’esistenza del cucciolo Yasar: “Ogni giorno sembrava la copia del precedente, muri scrostati, odore di fuliggine, voci taglienti... se essere orfano avesse un odore, quell’odore si fisserebbe per sempre negli sguardi umidi”.
L’odorino della commozione è nella sua parola: il profumo degli sguardi di Misericordia, Compassione e Grazia e l’incontro – reale, sognato? – che dà al piccolo Yasar diventato maggiorenne la forza di continuare a vivere e di affrontare la vita che lo attende fuori dall’orfanotrofio. È lo sguardo dell’animale, per la prima volta, a trasmettergli quel sentimento “che”, così si legge, “ho percepito fosse qualcosa di buono, perché mi scaldava dentro”. Quel qualcosa di buono che – nell’andirivieni della vita – diventa “amore incondizionato”. Ecco. Questo e molto altro è Engin Akyürek, un uomo dal cuore gentile, in tutti i sensi diverso da tutti.