Gli auguri
Re Carlo III, umanità e senso di unione: un discorso da vero sovrano
Siamo proprio sicuri che le repubbliche siano di per sé meglio funzionanti e più capaci di unire un paese rispetto alle monarchie costituzionali? Se si ha mente libera e non ingombra da pregiudizi, se ne può seriamente dubitare. E lo splendido, toccante, misuratissimo, politicamente neutrale, discorso di Natale pronunciato l’altro giorno da Re Carlo può indurre anche i più scettici a guardare con rispetto e ammirazione alla performance della monarchia britannica.
Tanti pensavano che dopo la cavalcata epica di Elisabetta II fosse pressoché impossibile per i Windsor riuscire nel miracolo di continuare a rappresentare un punto altissimo di unità in una nazione segnata da grandi divisioni, ora peraltro esacerbate da un primo assai deludente semestre di governo laburista a guida di Keir Starmer. E a maggior ragione si dubitava della possibilità che un simile risultato potesse essere ottenuto da Carlo, schiacciato per decenni dalla personalità materna, a lungo trafitto dalle cronache gossippare, e non aiutato - in passato - da alcune sue posizioni culturali (un certo ambientalismo molto spinto, ad esempio) forse più adatte a lacerare che a ricucire. Per questo i più ottimisti confidavano nella nuova generazione, puntando in particolare sulla coppia William-Kate, da contrapporre alla grande delusione di Harry-Meghan.
E invece Carlo sta stupendo tutti in positivo. Perfino la grande sventura della malattia che lo ha colpito (diciamolo, vicenda romanzesca: attendi per decenni di salire al trono, e, appena accade, sei inseguito da un cancro aggressivo) si sta paradossalmente convertendo in una carta da giocare con l’intelligenza del cuore e della mente sul tavolo del rapporto emotivo con i cittadini.
Non a caso, il Re ha deciso di pronunciare il suo discorso non in una delle residenze reali, ma in un’ex cappella di un ospedale londinese, e ha dedicato il passaggio più intenso dello speech proprio alla sua malattia e a quella della nuora Kate: «Rivolgo un ringraziamento speciale e sincero ai medici e al personale infermieristico che, quest’anno, hanno sostenuto me e gli altri membri della mia famiglia attraverso le incertezze e le ansie associate alla malattia, e ci hanno portato la forza, la cura e il conforto di cui avevamo bisogno».
Ma- ecco il punto- tutto questo è avvenuto senza lagna, senza autocommiserazione, con elegante sobrietà: ringraziando anche «tutti coloro che ci hanno gentilmente inviato parole di sostegno e di incoraggiamento». Intanto la regia alternava il primo piano del volto del sovrano alle immagini dei membri della famiglia reale impegnati, nel corso dell’anno, a conversare con malati, medici e infermieri. Buoni sentimenti, certo, ma senza buonismo, senza eccesso di zuccheri e sentimentalismo.
Di più. Prima di arrivare a questo passaggio del discorso, il Re è partito dal ricordo dello sbarco in Normandia, dalle celebrazioni avvenute l’estate scorsa per l’ottantesimo anniversario di quella pagina epica, e dalle sue calde strette di mano con gli anziani reduci di quella gloriosa impresa. Altro sapiente stacco della regia sulle immagini di quei volti austeri, scavati, dignitosi e commossi dei vecchi militari. E sfido chiunque - guardando - a rimanere con gli occhi asciutti.
È come se Carlo ci stesse dicendo: «Sono il Re, ho avuto un anno difficile, ma la mia prova è nulla rispetto a ciò che altri hanno dovuto sopportare in un diverso momento della storia». Un’altra lezione di understatement, e insieme un invito a collocare ogni nostro personale ostacolo in una dimensione più grande, rimanendo consapevoli di come il tempo e la storia siano decisamente più importanti della nostra singola traiettoria.
E poi - costantemente - il discorso è stato attraversato da lunghi passaggi di incoraggiamento alla società, alle associazioni, alle testimonianze di attivismo privato: nell’assistenza ai malati tanto quanto alle popolazioni che oggi sono colpite da una guerra. Certo, la mano abile di chi ha pensato e scritto lo speech natalizio non ha trascurato qualche piccola furbizia. Un ammiccamento “a sinistra”, celebrando le differenze etniche e culturali dei diversi paesi del Commonwealth, e un messaggio “a destra” accennando con preoccupazione ai disordini e alle violenze che hanno segnato gli ultimi mesi della vita britannica. Ma - attenzione - nello Speech di Re Carlo non ci sono invasioni di campo politiche, reprimende verso la maggioranza laburista o verso l’opposizione conservatrice. Né assist né sgambetti verso chicchessia.
Nulla che un retroscenista malizioso possa interpretare come un “monito”, un “avvertimento”, un messaggio in codice che un politico recapita ad altri politici. No: “solo” (ed è moltissimo: è la magia della Gran Bretagna) un sovrano che sta fuori dalla politica e cerca toni e temi volti a unire, a ricordare a tutti che esistono o dovrebbero esistere valori capaci di tenerci legati al di là delle nostre profonde e fisiologiche differenze. E che - a ben vedere - ci si potrebbe anche odiare un po’ di meno fra noi. Potenza di un Re, di un sistema che funziona, di una istituzione che sa connettere tradizione e futuro