Intervista al presidente argentino

Javier Milei intervistato da Sechi: "Cosa faremo io, Meloni e Trump. La motosega funziona"

Mario Sechi

È domenica, il mezzogiorno romano è freddo e solare, attendo che Javier Milei concluda un incontro con John Elkann. Ripasso le domande e le note, appunto sul taccuino alcune cose che mi raccontano i suoi collaboratori. Intervistai Milei la prima volta a metà febbraio, sempre qui all’Hotel Ambasciatori, in Via Veneto, come sembrano lontani quei giorni. La stampa e la televisione dipingevano Milei come un tipo eccentrico, un matto ultra -liberale destinato a fare un giro di tango e fallire.

Dieci mesi dopo, il presidente dell’Argentina è diventato quello che prometteva, il capo di Stato anticonformista che ha preso in contropiede gli economisti che ti spiegano tutto non avendo azzeccato mai niente, ha varato con successo un programma economico liberale in un Paese devastato dal socialismo, con i default a cascata e gli investitori internazionali in fuga. Ora i capitali cominciano a tornare in Argentina, Milei è l’uomo del momento, è in sella alla storia, l’Economist ha scritto che la sua ricetta economica sta funzionando, Donald Trump lo ha invitato alla cerimonia d’insediamento del 20 gennaio, Elon Musk vuole la motosega di Milei per tagliare la mostruosa spesa pubblica degli Stati Uniti e studia il lavoro del governo argentino, la platea della festa di Atreju lo acclama come un eroe scandendo la parola «libertà».
Chi immagina un leader politico tutto ideologia e comunicazione si sbaglia: il capello è agitato, la basetta una saetta, lui ci gioca, ma Milei è di una concretezza impressionante, anche nelle interviste, individuato il nocciolo del problema, pettina le sfumature e va dritto al punto. Mentre fai le domande ti prende le misure con occhi felini, la risposta è portata con precisione, la battuta è un’artigliata e via, non si dilunga, non si perde, conosce la sua strada.

Presidente Javier Milei, qual è il bilancio della sua missione in Italia? 
«Per me è sempre un immenso piacere venire in Italia, specialmente qui, perché come dice un mio amico “Roma è un museo a cielo aperto”. Il motivo principale della mia visita, è l’invito di Giorgia Meloni per partecipare a Atreju, dove ho ricevuto un’accoglienza molto calorosa».
Lei ha una ricetta economica liberale. Bisogna esser sinceri, in Italia non sarebbe una via semplice da seguire. Lei pensa che ci sia anche qui la possibilità di importare le sue idee? 
«Se io avessi detto un anno fa che avrei applicato le mie idee in Argentina, un Paese flagellato da cento annidi socialismo, mi avrebbero detto che sarebbe stato impossibile, nessuno avrebbe creduto a un aggiustamento del Pil pari al 15%, nessuno avrebbe creduto alle riforme strutturali che avevo messo in programma e che abbiamo varato. La politica è l’arte di rendere possibile l’impossibile. Quindi penso che la mia visione politica sia applicabile. So che qui in Europa esiste il problema delle restrizioni applicate dall’Unione europea ai vari Paesi, questo ovviamente è un ostacolo per tutti i governanti che hanno buone intenzioni, ritengo però che i Paesi europei debbano mettersi a tavolino e affrontare seriamente la questione, perché non è possibile che un gruppo di burocrati riuniti nella loro torre d’avorio possano decidere della vita di milioni di cittadini».
L’Economist scrive che la ricetta di Milei comincia a funzionare. Che ne pensa? Si sono sorpresi loro? O è stato sorpreso lei? 
«Ovviamente non credevano alle mie idee. Interessante notare che loro si stupiscono del fatto che questa ricetta abbia funzionato, ma noi stessi ci siamo stupiti della velocità con cui siamo riusciti ad applicarle e raccogliere dei risultati positivi. Perché noi siamo riusciti ad abbassare l’inflazione dal 54% mensile fino all’1,2% mensile. E il livello della produzione che abbiamo in questo momento è sensibilmente più alto rispetto a quello che abbiamo ereditato dai precedenti governi. Infatti siamo diventati un caso di studio estremamente interessante per tante università nel mondo».
La motosega funziona? 
«La chiave del successo del programma è proprio la motosega. Se avessimo aumentato le tasse per ristabilire l’equilibrio fiscale, saremmo andati in recessione. Tagliando la spesa pubblica abbiamo fatto sì che il settore privato non andasse in sofferenza, dando una spinta all’economia».
Un anno fa ci siamo incontrati la prima volta. Lei mi raccontò in un’intervista della necessità di costruire l’internazionale della destra, decisi di far diventare le sue parole il titolo d’apertura di Libero. Oggi abbiamo Trump, Musk, Milei, Meloni e altri. La sua ideasi sta realizzando? 
«Esattamente. Ne ho parlato diverse volte, è formata da Trump, da Meloni, da Bukele e Netanyahu».
Cos’ha di speciale Donald Trump? 
«È un grande difensore della libertà e un forte oppositore del socialismo, sa che quello è il nemico. La sua è una visione intuitiva, le sue idee non vengono dall’accademia, ma quello che dice contro il socialismo è epico».
Qual è il ruolo di Elon Musk in questo scenario? 
«Elon Musk è il Thomas Edison, il Leonardo da Vinci della contemporaneità. È anni luce davanti a tutti noi».
Musk aiuterà a costruire un nuovo modello di impresa e di economia? 
«Elon Musk capisce il funzionamento del sistema economico, la sua idea è perfettamente allineata alla scuola austriaca dell’economia. La prima volta che l’ho incontrato, mi ha detto che lui si sveglia ogni giorno pensando a come risolvere i problemi dell’umanità. Musk svolge quel ruolo dell’imprenditore così come veniva configurato dalla scuola austriaca e costituisce sicuramente una rivoluzione impressionante in termini di valori».
Giorgia Meloni? 
«Giorgia Meloni ha dei valori molto solidi, una forza ammirabile e si trova a dover lottare contro un vero e proprio nido di ideologie woke».
Torniamo a Trump: i dazi possono essere un freno all’espansione delle idee liberali? 
«Penso che Trump possa contribuire in maniera determinante all’avanzata delle idee liberali in tutto il mondo».
Relazione dell’Occidente con il gigante cinese? 
«La mia esperienza con la Cina è molto positiva, è un partner commerciale che non pone condizionamenti».
Lei si è schierato subito con Israele, è stato uno dei pochi leader dell’Occidente a cogliere l’importanza di questa battaglia. Cosa pensa di Benjamin Netanyahu? 
«Condivido le idee di Netanyahu, è un politico brillante e con una visione molto chiara di quello che sta affrontando. Penso che la difesa di Israele sia innanzitutto una difesa dei valori occidentali. Ecco perché la sinistra lo attacca, Israele è una roccaforte della morale capitalista e della civiltà occidentale».
Lei qui a Roma ha svolto una grande azione di diplomazia economica. So che ha incontrato John Elkann, e il numero uno del colosso minerario di Rio Tinto. Di cosa avete discusso? 
«Rio Tinto si occuperà dell’estrazione del litio in Argentina».
E con John Elkann di cosa avete parlato? 
«Con lui ho discusso dei piani di investimento di Stellantis nel settore auto, in particolare della produzione del marchio Ram in Argentina».
Abbiamo parlato di alcune figure rivoluzionarie del nostro tempo. Per me il rivoluzionario è Milei. Non teme per la sua vita? 
«No, non ho paura».
Milei ha tanti nemici. 
«Si me mataran... Se mi uccidessero, mi renderebbero immortale. Diventerei un eroe ancora più grande. Dubito che siano così stupidi».
Cosa fa Milei quando non fa Milei? 
«Yo soy Milei todo el tiempo. Sono sempre Milei, non c’è differenza tra la vita pubblica e quella privata».
La sua missione italiana è stata molto importante, cosa le ha lasciato? 
«Mi porto a casa sicuramente gli investimenti di Rio Tinto e Stellantis, l’approfondimento dei vincoli esistenti tra l’Italia e l’Argentina. E abbiamo messo un’altra bandierina nella nostra missione della diffusione della libertà a livello politico».
L’Europa si salva? 
«Se riuscirà a estirpare il cancro dell’ideologia woke, si salverà».
Chi le ha dato tutta questa forza, i suoi genitori? Da dove viene tutta la sua energia? 
«Ciò che mi ispira sono le idee della libertà».
Sente il favore del popolo in Argentina? 
«Sì, ho un consenso pari al 60% nel mio Paese».
Ora è anche cittadino italiano, è contento? 
«Sì, adesso sono italo-argentino».
Fantapolitica: in futuro lei potrebbe fare il primo ministro e Giorgia Meloni il presidente della Repubblica... 
«Se me lo chiedesse Giorgia, prenderei sicuramente in considerazione la proposta. Ma intanto devo risolvere alcuni problemi in Argentina».
Il suo sogno da bambino qual era? 
«Da bimbo facevo altre cose».
Che cosa? 
«Giocavo a calcio, i miei sogni erano tutti sul fútbol».
In che ruolo giocava? 
«Ero portiere».
Che cosa vuol lasciare in eredità della sua esperienza politica? 
«Che le idee di libertà portano prosperità».
Promuoverà un forum dell’internazionale della destra? 
«Yeeessss».