La cattedrale di Parigi riapre

Notre-Dame, adesso è tornata alla luce: e se l'incendio del 2019 fosse stato un bene?

Tommaso Lorenzini

C’ è una parola, rayonnant (radiante), che con sé porta un senso di maestosità, sa di grandeur molto francese che, tuttavia, mai come stavolta perde ogni forma di snobismo. Rayonnant è quel periodo dell’arte gotica nel quale l’architettura compie un passo successivo rispetto ai canoni fin lì in vigore. Si tratta di un passo un po’ in largo nei volumi, un po’ in lungo nelle proporzioni, e soprattutto in Alto, dando ancora più senso di come la forma sia anche la sostanza. È quello che accadde anche a Notre-Dame di Parigi che, nelle testate dei transetti, dalla metà del XIII secolo vide comparire enormi rosoni, l’alleggerimento delle strutture, la definitiva apertura alla luce. Se oggi celebriamo una cattedrale gotica come successo dell’ingegno umano, serve ricordarsi che costruzioni del genere non erano destinate all’ego delle “archistar” che li progettavano (i quali raramente vedevano i lavori ultimati, poiché quasi sempre morivano prima dei decenni necessari a porre l’ultima pietra): una cattedrale gotica altro non era che la manifestazione della potenza di Dio e insieme la ricerca di esso, con l’altezza si puntava al cielo, per questo le dimensioni si imponevano maiuscole.

Paradosso, quasi eresia, l’incendio del 2019 acquista oggi i connotati di un incidente salvifico. Le fiamme e la distruzione hanno obbligato al recupero dei buchi apertisi nei soffitti a volta e spazzar via i cumuli di detriti. Oggi perciò, se all’esterno i lavori proseguono, l’interno riapre dopo essere stato meticolosamente restaurato, le sculture in pietra riparate, le pareti calcaree ripulite, gli angeli dorati tornati ad adornare i soffitti. Perle polemiche sulle scelte stilistiche ci sarà tempo (vedi le vetrate Ottocentesche sostituite ex novo) ma le foto della navata centrale “prima e dopo” sono commoventi: è il ritorno alla cattedrale originale, alla sua funzione di luce in terra. Forse sarà una delusione per quanti sono affezionati all’immagine decadente, perfino tetra delle grandi chiese medievali; forse ci sarà pure chi rimpiangerà la sparizione di quella patina scura sulle secolari colonne di pietra, che altro non era che lo scorrere del tempo.

Un’atmosfera appunto “gotica” divenuta un topos a occupare l’immaginario di tutti, ma qui non siamo ne “Il nome della rosa”, le cattedrali erano concepite per essere altro, per essere creature luminose. La luce, filtrando per le grandi vetrate, simbolizza la Grazia divina che incontra il mondo umano. A questa eterea componente, si aggiungono gli archi rampanti, leggeri nella forma quanto le altre solide soluzioni costruttive: i contrafforti svettanti, i costoloni e gli archi ogivali che scaricano a terra le forze imponenti della struttura svolgendo allo stesso tempo la funzione di elementi decorativo-simbolici.

 

 

 

Ogni centimetro di pietra ha un senso, succede in ciascuna cattedrale, impressionante “macchina” di culto e sito artistico, che sia Notre-Dame de Paris, di Chartres o di Rouen. Come i gargoyle (chimères in francese) a guardia delle guglie e dei pinnacoli, piazzati a spaventare gli spiriti maligni e nel frattempo utili canali di scolo dell’acqua piovana. Anche a Parigi, nella facciata, gli imponenti portali sono sormontati da figure ed episodi biblici: la biblia pauperum, destinata al popolino che leggere non sapeva e allora si istruiva con gli occhi. E che, avvicinandosi dalle campagne verso le città, per prima cosa vedeva svettare sopra i bassi tetti lo scrigno lucente e impressionante della Cattedrale. Se c’era un Dio in terra, doveva abitare lì...