Rainbow Laces

Nella classifica woke "Islam" vince su "omo"

Andrea Tempestini

Nell’ipoteticagraduatoria delle priorità woke applicate al calcio, “Islam” sta davanti ad “omosessuale”. Si parla ancora della Premier League e del paradigmatico cortocircuito in atto, innescato dall’iniziativa “Rainbow Laces”, in soldoni una fascia da capitano color arcobaleno, il vessillo dell’inclusività imposto ai club in onore di tutte le lettere che vanno a comporre LGBTQ+. Alla vigilia vi abbiamo dato conto di un caso emblematico: il cristiano Marc Guehi, capitano del Crystal Palace, scrive sulla fascetta «I love Jesus», la indossa e viene “censurato” dalla Football Association. Il musulmano Sam Morsy, capitano dell’Ipsiwch Town, invece rifiuta di indossarla, punto e stop, poiché avversa ai dettami della sua religione e la FA non ha niente da ridire. Questa la prima prova della “priorità islamica”.

Ora la seconda prova. Mentre ancora si dibatteva della vicenda Guehi-Morsy, ecco che a complicare ulteriormente il quadro ci si mettono i ragazzacci del Manchester United. In occasione dello scorso weekend arcobaleno, Adidas - sponsor del club - voleva fare di più: oltre alla fascia, una giacchetta peril riscaldamento pre-partita ideata ad hoc per l’occasione. Peccato che Noussair Mazraoui, difensore marocchino dei Red Devils, abbia parimenti avuto da eccepire per motivi religiosi: lui, la giacchetta arcobaleno, non la indossa. Il punto è che per solidarietà o presunta tale tutti i compagni di squadra hanno rifiutato di farlo. Diciamo presunta tale non per caso: secondo quanto rivelato dal The Athletic, testata sportiva del New York Times che ha scoperchiato l’intera vicenda, molti erano ben contenti di non indossarla.

Due le fazioni in spogliatoio: chi non voleva far emergere in modo troppo evidente la scelta di Mazraoui, chi invece tra i compagni - come spiegava Oliver Brown sul Telegraph - «ha semplicemente rifiutato di essere un ipocrita o di essere costretto a conformarsi in modo artificiale». Il tutto, ovviamente, senza alcun tipo di spregio della comunità LGBTQ+, solo una meritoria ribellione alla cosiddetta, “dittatura del pensiero unico”, locuzione divenuta già un po’ stantia ma assolutamente centrata. Senza considerare, inoltre, l’intrinseca ipocrisia di un giocatore musulmano devoto, Mazraoui, costretto a manifestare il suo sostegno a una comunità gay che vorrebbe inesistente: ovviamente nulla di lodevole, semplicemente un dato di fatto.

Scontato l’imbarazzo del club, lo United inglese e posseduto da un americano (pensa un po’ quanto è woke...). Se la sono cavata con questa replica consegnata sempre a The Athletic: «Il Manchester United accoglie tifosi di ogni provenienza, compresi i membri della comunità LGBTQ+, e siamo fortemente impegnati nei principi di diversità e inclusione». Un sostanziale copia-e-incolla di quanto sostenuto dall’Ipswich Town per spiegare il “no” di capitan Morsy alla fascia gender. Insomma, tutto a posto. Ma qui c’è da riflettere sulle ragioni per le quali, almeno secondo la Football Association, è tutto a posto. Ragioni cristallizzate nel regolamento che consente «slogan ed emblemi di iniziative che promuovono rispetto e integrità» e proibisce «slogan, dichiarazioni o immagini politiche o religiose», fermo restando l’assoluto rispetto delle religioni tutte. Segue che, come detto in premessa, “Islam” sta davanti ad “omosessuale”, anche se una semplificazione in questi termini i cervelloni del pensiero giusto non la accetteranno mai.

Infine, una postilla. Noussair Mazraoui, prima dello United, giocava al Bayern Monaco. All’indomani del pogrom del 7 Ottobre, sui social, si schierò con Hamas invocando la «vittoria palestinese» e ignorando le 1.200 vittime israeliane (esclusi dal conteggio ostaggi e dispersi). Con il “no” alla giacchetta arcobaleno c’entra relativamente, ma ricordarlo dà una prospettiva più limpida all'intera vicenda.