Domani cade il governo in Francia: "Poi tocca anche a Macron"

Mauro Zanon

Nominato lo scorso 5 settembre dopo quasi due mesi di trattative in seguito alle elezioni legislative anticipate, Michel Barnier, ex capo negoziatore della Brexit per l’Ue, era visto come il grande saggio gollista che avrebbe portato la Francia fuori dalla crisi politico-istituzionale, che avrebbe salvato i conti terremotati da annidi eccessi finanziari. Sono passati appena tre mesi dalla sua nomina alla guida del governo francese e domani potrebbe già essere il suo ultimo giorno. Marine Le Pen, leader del sovranismo francese e capogruppo dei deputati del Rassemblement national (Rn), si appresta a togliere la fiducia al governo Barnier, votando una mozione di censura assieme al Nuovo fronte popolare (Nfp), la coalizione delle sinistre socialista, comunista, ecologista e mélenchonista. La decisione è stata annunciata ieri pomeriggio all’Assemblea nazionale dopo un’ultima riunione interna. «Barnier non ha voluto rispondere alle richieste di 11 milioni di elettori di Rn. Ha detto che ognuno si deve assumere le proprie responsabilità. Noi ci assumeremo le nostre», ha affermato Le Pen dalla sala delle Quattro-Colonne dell’Assemblea nazionale. «Non c’è via d’uscita per un governo che torna a seguire la linea del macronismo, che rifiuta di prendere in considerazione l’urgenza sociale di arrivare a fine mese e che ignora la necessità di rilanciare la crescita», ha tuonato su X il presidente di Rn, Jordan Bardella, che in mattinata aveva già anticipato la sfiducia «a meno di un miracolo dell’ultimo minuto».

AUMENTO DELLE PENSIONI
A Le Pen non sono bastate le concessioni fatte in questi giorni dal capo dell’esecutivo, che ha accantonato l’aumento delle tasse sulle bollette dell’elettricità, promesso un taglio al dispositivo di assistenza sanitaria agli immigrati irregolari, l’Aide Médicale d’État, e annunciato che non verrà tagliato il rimborso dei medicinali, come inizialmente previsto nella legge di bilancio 2025. Per garantire la fiducia, la leader sovranista chiedeva anche l’indicizzazione all’inflazione di tutte le pensioni a partire dal 1° gennaio, richiesta che Barnier non ha accolto. «Tutte le manovre per salvare il governo Barnier sono fallite. Cadrà. E Macron, unico responsabile della crisi finanziaria e politica, deve andarsene per ridare la parola ai francesi», ha commentato su X il leader della France insoumise, Jean-Luc Melenchon. Ieri, dopo aver tenuto un breve discorso davanti ai deputati in cui ha difeso il suo «metodo, fatto di ascolto, rispetto e dialogo», Barnier ha sguainato il 49.3 per far passare, senza il voto del Parlamento, il disegno di legge allegato al bilancio sul finanziamento della Sécurité sociale (il generoso sistema di protezione sociale francese).

FUOCO INCROCIATO
Privo di maggioranza, si è però esposto alla mozione di censura. Anzi, a due. Una presentata da Rn, una da Nfp: sarà quest’ultima, con ogni probabilità, a far cadere Barnier tra mercoledì e giovedì, visto che sarà votata anche dai lepenisti. Tra la deposizione della mozione di censura e il voto devono passare almeno 48 ore, un protocollo risalente alla Terza Repubblica. «È una regola basata sull’idea che il voto di censura è grave e merita una riflessione», ha spiegato al Parisien Jean-Pierre Camby, professore di diritto pubblico all’Università di Versailles Saint-Quentin-en-Yvelines. Più di 130 mozioni di censura sono state depositate dal 1958 in poi, ossia dalla nascita della Quinta Repubblica, ma una sola è stata adottata: la mozione del 1962 contro l’elezione del presidente della Repubblica a suffragio universale, che fece cadere l’allora governo Pompidou. Quella di mercoledì, potrebbe dunque essere la seconda della storia della Cinquième. L’aspetto inedito è che potrebbe passare mentre il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, si trova fuori dei confini francesi: il rientro dell’inquilino dell’Eliseo dal suo viaggio in Arabia Saudita è infatti previsto soltanto per mercoledì sera. La grave crisi politica che potrebbe aprirsi con la caduta di Barnier rischia di portare alle dimissioni del capo dello Stato e ad elezioni presidenziali anticipate: il vero obiettivo di Marine Le Pen, in attesa della sentenza del 31 marzo 2025 sull’affaire dei fondi dell’Europarlamento.