Il commento

Sanchez, Scholz, Starmer: la sinistra europea sotto la tenda a ossigeno

Carlo Nicolato

C’è un minimo comun denominatore che lega i governi di sinistra in Europa: crisi profonda. Tutti viaggiano sul filo del rasoio o della scommessa, qualcuno come quello tedesco è già caduto e si aspetta solo la celebrazione del funerale con le elezioni anticipate, perfino i laburisti britannici che si sono imposti alle elezioni dello scorso luglio con una larga maggioranza sembrano già in dirittura d’arrivo.

Ma il simbolo di questa decadenza è probabilmente meglio rappresentato in tutte le sue sfaccettature dal crollo del governo semaforo in Germania retto da Olaf Scholz, un tentativo nato male e che alla fine si è rivelato un disastro oltre le più pessimistiche attese. L’idea di mettere insieme socialdemocratici e verdi da una parte con i liberali dall’altra, ovvero visioni economiche nonché sociali profondamente antitetiche, tenuti insieme solo dalla volontà di governare a scapito della Cdu si è trasformata in una scommessa persa su tutti i fronti che non solo sta agevolando il ritorno al governo degli orfani della Merkel ma soprattutto sta spianando la strada alla grande ascesa dell’estrema destra. Menzionare i punti sul quale il governo tedesco dal 2021 a oggi non si è mai trovato d’accordo è quasi un’impresa: si va a grandi linee dalle tasse alle politiche verdi, passando per gli immigrati e il tetto del debito. Ma soprattutto tutto questo si è abbattuta l’invasione russa in Ucraina, la crisi energetica, la sentenza della Corte costituzionale che ha creato un buco da 60 miliardi di euro nel budget federale, le politiche green europee e per ultimo, gran finale, la crisi dell’auto con relative chiusure di fabbriche e licenziamenti. Cosa poteva andare peggio?

 

 

 

Ma se l’equilibrismo di Scholz ha fallito quello del socialista Sanchez in Spagna riesce ancora a reggere solo grazie alle indiscusse doti da prestigiatore del premier in carica. Nato sotto ricatto degli indipendentisti catalani, il governo socialista vive in uno stato di crisi permanente non tanto per questioni puramente politiche ed economiche, quanto per una serie infinita di scandali.

L’ultima grana ad esempio riguarda un tentativo maldestro di “far fuori” la presidente popolare della Comunidad di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, attraverso il procuratore generale di Stato che è finito sotto inchiesta della Corte suprema. Non passa giorno poi che i giornali spagnoli non citino il “caso Koldo”, un caso di corruzione riguardante alcuni alti papaveri del Psoe, in particolare l’ex ministro José Luis Ábalos Meco. Ancora in corso è lo scandalo riguardante la moglie di Sanchez, María Begoña Gómez, sulla quale pendono varie accuse tra le quali quella di corruzione e traffico di influenze illecite.

 

 

 

Per non parlare della visita agli alluvionati di Valencia, della fuga di Sanchez e delle colpe scaricate su re Felipe. Secondo un sondaggio di questi giorni il 65% della popolazione spagnola vede il governo socialista come «circondato dalla corruzione», mentre solo il 26% della popolazione appoggia Sanchez. “That sinking feeling”, quella sensazione di affondare, titolava in copertina a fine settembre l’Economist, con l’immagine di Keir Starmer che sprofonda lentamente in un cerchio d’acqua. Dopo quattro mesi di governo infatti, tra scandali, rivolte, malapolitica e polemiche il tasso di approvazione per il premier laburista britannico arriva a malapena al 23%. La situazione è talmente paradossale che una petizione lanciata il 20 novembre scorso per chiedere nuove elezioni anticipate ha già raccolto 3 milioni di firme. Ovviamente Starmer non accondiscendirà alla richiesta, “non è così che funziona” ha detto, ma gli inglesi stanno già rimpiangendo Boris Johnson e sperano nel successo di Farage.