La rivolta vista da Parigi

Corvetto, il disastro delle Banlieue non è lontano: l'Italia non deve abbandonare i quartieri-ghetto

Mauro Zanon

Vista dalla Francia, la guerriglia urbana di Corvetto in seguito alla morte del diciannovenne egiziano Ramy Elgaml, è un fatto di cronaca come gli altri. Perché qui, alle rivolte multietniche, sono ormai abituati dal lontano 2005, quando scoppiarono les “émeutes”, i tumulti dei ragazzi delle banlieue per la morte di due di loro, che sfociarono in scontri ruvidi con la polizia e settimane di caos che misero a dura prova la tenuta della presidenza Chirac. C’è un sito, Fdsouche.com, che cataloga ogni giorno le piccole, medie e grandi ribellioni di quelle zone che lo storico Georges Bensoussan ha definito i “territori perduti della République” in un libro premonitore.

Bensoussan lanciò l’allarme nel 2002, l’anno di Jean-Marie Le Pen al ballottaggio delle presidenziali, ma la sua diagnosi venne ignorata e persino negata da quel mondo intellettuale e politico che, dai caffè della rive gauche, passava il suo tempo a decantare i presunti splendori del multiculturalismo: pur rimanendone distante, va da sé, pur abitando in un comodo loft di Saint-Germain-des-Prés, va da sé. Un po’ come la sinistra meneghina di Giuseppe Sala & Co, amante della diversité, ma solo se non fa l’aperitivo o vive troppo vicina a casa propria. In Francia, tuttavia, la situazione è ben peggiore. La negazione, per vent’anni, dell’esistenza di zone di non-diritto, di ghetti islamici dove la polizia non ha più il coraggio di entrare e dove le ragazze vivono barricate in casa o si nascondono dietro il velo, ha favorito la proliferazione di banlieue-polveriere, dove basta una scintilla per provocare violente esplosioni.

 

 

L’ultimo caso è avvenuto nell’estate del 2023, dopo la morte di un diciassettenne che si era rifiutato di sottoporsi a un controllo stradale. Per diverse settimane, il governo francese è stato messo a dura e prova e costretto a schierare l’esercito per arginare i focolai di rivolta esplosi in tutto il Paese, a partire da quelle aree di separatismo islamico, culturale e identitario, che cingono ormai tutte le metropoli francesi. Il socialista François Hollande, ex presidente della Repubblica, nel 2016, ebbe un momento di lucidità, quando manifestò a due giornalisti del Monde la sua inquietudine per “la secessione di alcuni territori”, dove l’islam e i suoi precetti hanno sostituito i valori della République. La religione musulmana? «Che ci sia un problema con l’islam, è vero.

Nessuno ha dubbi». Il velo? «Un asservimento». I migranti? «Non si può continuare ad avere migranti che arrivano senza controllo», disse Hollande nel libro-intervista «Un président ne devrait pas dire ça. Due anni dopo, sotto la presidenza Macron, un altro socialista, Gérard Collomb, sindaco di Lione per 17 anni, lasciò in polemica la guida del ministero dell’Interno perché i suoi moniti sulle no go zones francesi, abbandonate agli islamisti e ai narcotrafficanti, non venivano ascoltati. «Signor primo ministro, ho un messaggio da trasmettere. Sono andato in tutti questi quartieri, da quelli settentrionali di Marsiglia, al Mirail a Tolosa, fino a Corbeil, Aulnay, Sevran. La situazione è molto degradata e l’espressione “riconquista repubblicana” è particolarmente esemplificativa, perché oggi, in queste aree, è la legge del più forte che si è imposta: quella dei narcotrafficanti e degli islamisti radicali che hanno preso il posto di quella della Repubblica», tuonò Collomb nel suo discorso d’addio.

«Dobbiamo ancora dare sicurezza a questi quartieri, ma credo che sia essenziale cambiarli radicalmente. Sono dei ghetti», aggiunse l’allora ministro dell’Interno, parlando di una situazione “già ingestibile”. A Molenbeek, la banlieue di Bruxelles dove è cresciuto l’unico sopravvissuto del commando jihadista del 13 novembre 2015, Salah Abdeslam, la situazione è la stessa. L’ex sindaco socialista di Molenbeek, Philippe Moureaux, la definiva orgogliosamente il “laboratorio socio-multiculturale” del Belgio: è diventata il quartier generale del jihad europeo, a tal punto da essere ribattezzata “Molenbeekistan”.

L’Italia, per ora, non è nella situazione francese, sia per questioni storiche (la rivolta multietnica contro i francesi autoctoni è alimentata dalla sete di rivalsa degli ex colonizzati verso gli ex colonizzatori), sia per questioni demografiche (in Francia c’è lo ius soli). E nemmeno nella situazione del Belgio, che negli anni Settanta, con Re Baldovino, accettò il ricatto dell’Arabia Saudita per garantire il proprio approvvigionamento energetico: più islam (Riad dona ogni anno un milione di euro alle venti moschee di Molenbeek) in cambio di greggio. È urgente evitare una deriva in quelle direzioni, affinché gli episodi di Corvetto non diventino la nuova normalità italiana.