Censure

Cina, Pakistan e Russia? Chissà perché dei loro massacri non si parla

Marco Respinti

«A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio». Lo ha scritto papa Francesco nel libro-intervista La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore, realizzato con il giornalista argentino Hernán Reyes Alcaide e in uscita domani per Piemme. Dunque, come aggiunge il Pontefice, bisogna certamente indagare accuratamente. Perché il genocidio è un crimine preciso, gravissimo, unico.

Il termine «genocidio» non è “soltanto” sinonimo di «massacro» o di «eccidio». È una fattispecie normata ad hoc a partire dallo studio imprescindibile del giurista ebreo polacco Rafal Lemkin (1900-1959), Axis Rule in Occupied Europe: Laws of Occupation - Analysis of Government Proposals for Redress, che fu pubblicato nel 1944 a Washington dal Carnegie Endowment for International Peace. Proprio a partire da quel libro l’Organizzazione delle Nazioni Unite diede vita, nel 1948, alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, che divenne operativa nel 1951. Solo applicando retrospettivamente i propri canoni interpretativi è stato possibile definire genocidio la Shoà degli ebrei e, molti anni dopo, il genocidio degli armeni operato, durante la Prima guerra mondiale, dal governo turco.

Ora, proprio la Convenzione dell’Onu, sulla base degli studi fondativi di Lemkin, stabilisce che il genocidio sia un crimine specifico e unico, e che, affinché si possa stabilire che un eccidio sia genocidio, occorra che alcune caratteristiche siano soddisfatte: per esempio la premeditazione, la progettazione, l’implementazione quanto più sistematica, ma soprattutto l’intenzione. La volontà di cancellare della faccia della Terra una porzione dell’umanità è genocidio, tale per cui non è anzitutto il numero delle vittime che fa di un massacro un genocidio, bensì la volontà dei perpetratori di eliminare completamente un gruppo umano, anche se poi, al lato pratico, fortunatamente, le vittime siano “poche”. Del resto le vittimedi un genocidio, come di qualsiasi massacro grande o piccolo, sono sempre tantissime, troppe. Qualsiasi esperto non può sottrarsi a questo. Non è infatti la sua opinione a costituire un genocidio, e nemmeno la sua scienza, bensì l’intenzione del soggetto che è sottoposto al processo per valutazione. Gli «alcuni esperti» senza nome citati dal Papa debbono sottostare a questi criteri dell’Onu. Altrimenti si scatena la ridda infame dei «secondo me».

Mentre dunque viene valutato davvero ciò che sta accadendo a Gaza per stabilire se sia genocidio, ovvero se Israele abbia sul serio premeditato, progettato, implementato quanto più sistematicamente, ma soprattutto abbia l’intenzione di cancellare tutti i palestinesi dalla faccia della Terra, altrimenti si tratta solo di «secondo me» infami, deve continuare senza dimenticanze e strabismi il lavoro di scavo e scienza per appurare se e quando altri genocidi si stiano compiendo nel silenzio di fatto complice.

Molti esperti sostengono, infatti, che la Repubblica Popolare Cinese stia compiendo genocidi per esempio ai danni di uiguri, tibetani, mongoli, musulmani Hui o gruppi religiosi come il Falun Gong, contro cui si utilizzano persino la genetica, la sterilizzazione delle donne e il prelievo forzato di organi umani che poi alimentano un lucrosissimo mercato nero dei trapianti.

Il genocidio che Pechino starebbe attuando in quei casi, dicono molti esperti, sarebbe il genocidio culturale. Si tratta di un genicidio freddo, che magari (ma non sempre) non impila cumuli di cadaveri ai lati delle strade, ma che ha non di meno l’intenzione, e dunque progetta e cerca di realizzare sistematicamente, l’annientamento totale di un gruppo umano specifico, forse solo diluendolo lungo un po’ più di tempo per mascherarlo. Quando infatti Pechino impedisce la trasmissione dell’identità culturale di un gruppo umano (fatta di lingua, letteratura, arte, usi, costume, religione e così via), affinché, nel giro di qualche generazione, quel determinato gruppo umano risulti indistinguibile dagli altri, pratica il genocidio culturale.

Purtroppo, come molti esperti lamentano, la Convenzione dell’Onu sul genocidio esclude la fattispecie del genocidio culturale. Per l’Onu si può essere genocidati in quanto appartenenti a un gruppo etnico, razziale, nazionale o religioso, ma non culturale. Questo è così ancora oggi solo perché, pur rifacendosi a Lemkin, la Convenzione dell’Onu dovette sottostare alle censure dell’Unione Sovietica, che, reduce dal genocidio ucraino noto come Holodomor, non gradiva affatto tale nozione. Lo dimostrano i due corposi volumi di The Genocide Convention: The Travaux Préparatoires, pubblicati a Leida e Boston nel 2008 per i tipi prestigiosi di Martinus Nijhoff, con cui i curatori Hirad Abtahi (capo dello staff della presidenza del Tribunale penale internazionale delle Nazioni Unite a L’Aia, nei Paesi Bassi) e Philippa Webb (docente di Diritto pubblico internazionale al King’s College di Londra) raccolgono appunti, note e minute di quel momento drammatico.

Dunque, mentre «a detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio», ciò che sta avvenendo in Cina a danno di molti gruppi umani, ciò che sta avvenendo in Pakistan a danno dei musulmani ahmadi, ciò che sta avvenendo in Asia contro gli sciiti hazara, ciò che è avvenuto in quello che ora è il Bangladesh a opera del Pakistan nel 1971, ciò che è avvenuto negli anni 1990 in Kashmir a opera dei jihadisti contro i pandit ìndù è genocidio, ma non trova spazio nelle opinioni, fra certi esperti, all’Onu, nei libri e nel magistero. Forse anche Vladimir Putin sta consumando un nuovo genocidio in Ucraina, visto che non ritiene esistere l’identità ucraina. Eppure c’è carta, penna e stampa a disposizione solo per illazioni su Gaza.