futuro e passato
Gli Usa di Trump si sburocratizzano per liberare energie creative, gli eurodinosauri s'inventano gabbie
«Trump non è un liberale e farà dell’America un’autocrazia». «All’Europa toccherà fare da sola, unico baluardo della democrazia in un mondo di autocrati». Quante volte abbiamo sentito o letto in questi giorni commenti di tal fatta! Partigianeria e mistificazione allo stato puro, poco importa se consapevole o meno. Se ancora ce ne fosse stato bisogno, le intenzioni vere di Trump sono venute fuori ieri in tutta la loro evidenza con la pubblicazione dello statement con cui il neopresidente ha nominato Elon Musk (che sarà coadiuvato da Vivek Ramaswamy) a capo del dipartimento per l’efficienza creato in seno al governo. Che non sia un dipartimento di serie b, ma anzi l’architrave su cui Trump cercherà di dare un nuovo volto all’America nei prossimi anni, di “farla di nuovo grande”, è chiaro dal paragone fatto: il progetto affidato a Musk vuole essere un nuovo “progetto Manhattan”, cioè il piano segreto che permise agli Stati Uniti di sviluppare la bomba atomica e vincere la seconda guerra mondiale.
STATO MINIMO
Anche in questo caso si tratta di vincere una guerra, che è quella di ridare efficienza, appunto, a un sistema politico ed economico che deve vedersela con nuovi e potenti competitor, a cominciare da quella Cina che problemi di efficienza economica non ne ha perché è retta da un Partito unico alle cui direttive tutti devono sottostare. Trump declina invece il concetto di efficienza in un senso schiettamente liberale, indicando come meta uno smaller government. In sostanza, egli ha in mente lo “Stato minimo” della tradizione liberale, che è forte ma limitato nelle sue funzioni, che mette al centro non sé stesso ma l’individuo con i suoi sogni e i suoi progetti. C’è insomma in Trump la consapevolezza che, crescendo a dismisura, la strutture statali e l’apparato legislativo abbiano finito per rinchiudere l’uomo in una “gabbia d’acciaio”, facendo assomigliare un po’ i nostri sistemi politico-economici a quel modello sovietico che la storia ha provveduto a seppellire da un bel po’.
Leggi anche: Donald Trump prima dell'incontro con Biden: "Un terzo mandato? Impossibile, a meno che non ci inventiamo qualcosa"
Si tratta, per dirla con le parole della dichiarazione di ieri, di «smantellare la burocrazia governativa, tagliare le normative eccessive, tagliare le spese inutili e ristrutturare le agenzie federali». In sostanza, di creare le condizioni per rendere di nuovo vitali le nostre società, non ostacolando quel conato a intraprendere, innovare, creare, che ha segnato la modernità e ci ha portato ove siamo arrivati. D’altronde, se oggi l’America è ancora in piedi e conserva tutto sommato una certa leadership globale, ciò è dovuto soprattutto all’emergere prima delle Big Tech nella Silicon Valley e poi dall’affermarsi di un imprenditore visionario come Musk che si è posto all’avanguardia di frontiere finora inesplorate come lo spazio ultralunare, l’intelligenza artificiale, le auto elettriche e la robotica. Insomma, rinnovando il “sogno americano”, che è il vero collante che ha tenuto unita nei secoli una nazione di etnie e culture diverse. La scelta di Musk ha ovviamente anche un valore simbolico, ma solo uno sprovveduto può sottovalutare l’importanza che hanno in politica i simboli e i miti.
I DIRIGISTI DI BRUXELLES
Tutto questo accade mentre l’Europa arranca e continua imperterrita a regolare, a sovrapporre diritti comunitari ai diritti nazionali, a imporre in modo dirigistico ricette economiche e persino relative agli stili di vita, a castrare coi suoi “lacci e lacciuoli” ogni energia o iniziativa individuale. Aziende come quelle di Elon Musk, o anche le vecchie Big Tech, sarebbero mai potute sorgere ed affermarsi nel nostro continente? E lo potranno in futuro, tanto più se si pensa di affidarle (come è in certi progetti di Bruxelles) a un super-Stato centralizzato che si fa esso stesso imprenditore? Insomma, con la creazione del nuovo dipartimento e la nomina di Musk si può dire che Trump abbia centrato il punto vero ove si colloca la crisi delle nostre democrazie: l’espansione dei pubblici poteri. La via per rimediare a questa deriva non può che essere quella individuata a suo tempo da Margareth Thatcher: lavorare per sottrazione e non per addizione, non aggiungendo ma sfoltendo. Insomma, tutto il contrario di quel che farebbe un’autocrazia e di quel che ha finora fatto l’Europa. Nella lotta fra titani che sta aprendosi sullo scenario globale, la democrazia liberale può vincere solo in questo modo. L’America lo ha capito, l’Europa no. Anzi, noi europei sembriamo non esserci nemmeno accorti della irrilevanza in cui siamo precipitati. Con somma presunzione pretendiamo addirittura di dettare il nostro stanco modello a un mondo che cor re.