tam tam impazzito
Trump, la sinistra prepara una Capitol Hill per farlo cadere
Chissà se anche fra gli ultras del Partito Democratico Usa vanno di moda copricapi cornuti come quello sfoggiato a suo tempo da Jacob Chansley, uomo-simbolo dell’occupazione del Campidoglio il 6 gennaio 2021 da parte dei sostenitori di Donald Trump, allora uscente dal primo mandato. Già, perché tra le frange più estreme del partito della sconfitta Kamala Harris tira aria di rivolta. Forse è esagerato paventare un’irruzione di attivisti dem liberal, partigiani dei diritti a tutti i costi, nelle medesime sale di Capitol Hill in cui, fra l'altro, i repubblicani, a margine dell'elezione presidenziale, hanno conquistato la maggioranza anche al Senato, dopo la Camera. Ma la rabbia c'è. I Dem si leccano le ferite e si rischia una faida interna con recriminazioni di tutti i tipi, dal ritardo nell'archiviare Joe Biden all'errore del presentare una Harris già sbiadita come vicepresidente. Mentre volano gli stracci agli alti livelli, la base è irrequieta, sebbene non trovi appiglio in contestazioni dell’esito delle urne, come era accaduto con Trump quattro anni fa.
All'ombra della Caporetto della sinistra si sta preparando infatti una mega -manifestazione anti -Trump per il 18 gennaio 2025, due giorni prima dell'insediamento del neo-presidente. Stando al Washington Post, sono attese più di 50.000 persone alla cosiddetta “People's March on Washington”. Per tutte le organizzazioni che hanno annunciato la loro mobilitazione, l'importante è la «resistenza», è combattere il Male. Che è il nemico quando vince, anche se votato dalla gente, mentre se invece a trionfare sono loro, allora tutto ok, è matematico che si tratti del Bene, che segue le rotaie prestabilite (da chi?) del progresso. Saranno tutti in prima fila, gli attivisti pro-immigrati, i difensori dei diritti delle donne, dei gay e in genere dell'arcobaleno LGBTQ+, della “salute riproduttiva” e in genere di tutte le minoranze razziali, culturali o religiose. Diritti come li intendono loro, che però oltre la metà degli americani ha considerato chimere lontane dai problemi reali dei cittadini, su cui invece ha puntato Trump, come il lavoro, i dazi, l'insicurezza, i clandestini. Varie le organizzazioni protagoniste della “chiamata alle armi”, si fa per dire, per la marcia su Washington, come Women’s March, Abortion Access Now, Planned Parenthood e National Women’s Law Center.
Rachel O'Leary Carmona, direttrice esecutiva della Women’s March, ha anticipato: «Stiamo organizzando una marcia per continuare a lottare per la nostra libertà, le nostre famiglie, il nostro futuro e anche per assicurarci che sia chiaro di fronte al crescente autoritarismo che non ci arrenderemo preventivamente». Ha inoltre reso noto che, se la manifestazione maggiore si svolgerà nella capitale, in varie città d'America si terranno in contemporanea “marce gemelle”. Chiama inoltre a una mobilitazione permanente un’altra attivista, che al femminismo unisce l’attenzione per gli immigrati, essendo di origine indiana come la Harris. È la presidente e amministratore delegato di Reproductive Freedom for All, Rukmini Timmaraju, detta “Mini”, secondo cui la sua e altre associazioni sono pronte a tempestare l'amministrazione Trump di continue dimostrazioni concentrate «nei primi 100 giorni di governo» per contestare le nuove nomine nel governo federale e nell'apparato giudiziario.
E a proposito di apparato giudiziario è di ieri la notizia che la giudice Tanya Chutkan, che supervisiona il procedimento contro Trump per l’assalto al Campidoglio, ha accolto la richiesta del procuratore speciale Jack Smith di sospendere le procedure in corso e ha annullato tutte le scadenze pendenti nella fase pre-processuale. Un passo legato alla consolidata prassi del Dipartimento di Giustizia secondo cui un presidente in carica non può essere perseguito. Anche il fronte delle università rischia di riaprirsi, dopo mesi di proteste pro-Palestina degli studenti progressisti.