Cala il sipario

Yahya Sinwar, l'ultimo anno vissuto come un topo: la morte del leader di Hamas

Yahya Sinwar è morto. Il leader di Hamas, nonché mente del pogrom del 7 ottobre, è stato ucciso dall'esercito israeliano. La conferma arriva dall'Idf attraverso un comunicato ufficiale. L'identificazione del corpo sarebbe avvenuta tramite l'esame dell'arcata dentale, ma sono ancora in corso ulteriori test. Nato nel 1962 nel campo profughi di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, alla fine degli anni Ottanta si è unito a Hamas diventandone il capo politico. La sua uccisione è stata una sorpresa anche per Israele. Stando alle varie indiscrezioni nessuno si aspettava che Sinwar fosse fuori dai tunnel di Rafah dove si stava rifugiando.

Ma cosa faceva Sinwar negli ultimi 12 mesi? Stando alla cronologia di Guido Olimpio sul Corriere della Sera, il numero uno di Hamas aveva perso molti contatti con quello che viene definito il "mondo di sopra". A ottobre dello scorso anno, Sinwar risultava nella lista dei capi nemici da eliminare. E così, un mese dopo, la testimonianza di una donna vede Sinwar rifugiarsi in un tunnel e poi, a dicembre, lasciare la zona centrale per nascondersi dove è nato. In seguito, a gennaio gli israeliani possono contare sull'aiuto americano che mettono a disposizione una task force. 

 

 

Del leader di Hamas però nessuno sa nulla. Solo a gennaio l’Idf mostra un video che risalirebbe al 10 ottobre. Qui Sinwar si trova con la moglie e i figli in una galleria. Con loro Mohammed. Qualche settimana dopo alcune notizie parlano di una presunta malattia di Yahya. E non si esclude una possibile fuga all'estero. Arriviamo a maggio e gli 007 smentiscono le voci precedenti. Per loro il latitante è sempre a Khan Younis e non a Rafah. Per i giornali arabi solo due-tre persone, tra giugno e luglio, sanno dove si nasconde Sinwar e sostengono che userebbe i messaggeri ai quali affida i pizzini e in qualche occasione impiegherebbe una linea telefonica protetta. E ancora, il giallo di Sinwar non si risolve neppure ad agosto. Per alcuni l'uomo ha chiesto garanzie, tra le condizioni c’è quella di non essere eliminato. Addirittura, il giornalista Yossi Melman scrive che in almeno cinque occasioni l’Idf ha avuto dritte precise sul nascondiglio ma non sono riusciti a chiudere la morsa. 

Si arriva a settembre. Attorno al 12 mediatori sostengono di avere difficoltà nel "parlare" con Sinwar, immerso nei tunnel. Ma il 16 riemerge con un messaggio agli Houthi dove si congratula per un attacco missilistico contro Israele e un altro al presidente algerino Tebboune ma per l’intelligence sarebbero stati scritti da un collaboratore. Con il doppio colpo del Mossad contro l’Hezbollah, Yahya si è isolato ancora di più, limitando i contatti e cambiando (secondo media sauditi) il nascondiglio. Ed eccoci ad oggi  con il leader di Hamas ucciso in un raid su un edificio di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.