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Iran, l'infiltrato a Washington: il piano segreto per colpire nel cuore degli Usa

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Andrea Morigi
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Da ormai quarant’anni l’Iran si è infiltrato negli Stati Uniti attraverso diversi suoi agenti ed è in grado di mobilitare strutture finanziarie e di propaganda, oltre che uomini armati per colpire sul territorio americano. Un rapporto del Program on Extremism della George Washington University, Propaganda, Procurement and Lethal Operations. Iran’s Activities Inside America, rivela che dal 2000 a oggi 142 persone sono state indagate su diversi fronti dall’autorità giudiziaria Usa per attività collegate a Hezbollah, la maggior parte per riciclaggio di denaro, frodi e contrabbando, ma anche per traffico di clandestini, commercio illegale di armi e attività di spionaggio. È la punta di un iceberg, sotto la quale rimangono sommersi circoli familiari e complicità ben radicati nel Michigan, a New York, in California e nella Carolina del Nord, dove si dedicano principalmente alla raccolta di fondi.

Quando serve, entrano in gioco anche i commando. Gli obiettivi nel mirino sono gli oppositori del regime di Teheran, che solitamente affitta i suoi sicari fra la malavita locale - occasionalmente può rivolgersi perfino agli Hell’s Angels canadesi - per potersi più facilmente dichiarare estraneo. Ma, gratta gratta, dietro la pianificazione degli attacchi si scopre sempre qualche 007 iraniano.

 

 

 

Nel 2018, la blogger Masih Alinejad è riuscita a sfuggire a un agguato, ma l’autore dei Versetti Satanici Salman Rushdie, nel 2022, ha perso un occhio dopo essere stato accoltellato quindici volte da un libanese. Sullo scrittore pende una fatwa dal 1989. Gli assassini sono sempre a caccia e le potenziali vittime sono perlopiù funzionari del governo a stelle e strisce. Senza trascurare la strategia bellica più moderna sviluppata nell’ultimo decennio, la cyberguerra che punta alla distruzione di infrastrutture militari e civili, di cui si occupano, prevalentemente da remoto, i reparti specializzati dei Guardiani della Rivoluzione.

Nonostante le sanzioni economiche vigenti e la rottura delle relazioni diplomatiche dal 1979, la Repubblica islamica di Teheran finge di non essere ostile e tenta di ingraziarsi il potere a Washington. Non potendo farlo attraverso ambasciatori e consoli, utilizza come cavallo di Troia il presidente dell’Istituto islamico d’America, detto anche La Casa della Saggezza, guidato dall’imam Ali Elahi. È il volto presentabile della Rivoluzione sciita, tanto da riuscire a incontrare i vertici della Casa Bianca, dalla vicepresidente Kamala Harris all’ex segretario di Stato John Kerry e a farsi scattare ritratti con loro, come documenta ampiamente il rapporto del PoE, inserendo anche fotografie più datate dello stesso esponente religioso con l’ayatollah Ruhollah Khomeini e Hassan Rouhani, già presidente della Repubblica iraniana. In realtà, Elahi riesce a nascondere piuttosto bene la sua vicinanza a Hezbollah, di cui peraltro commemora le guide spirituali come Hussain Fadlallah, dissimula i suoi dubbi sulla responsabilità di Al Qaeda negli attacchi dell’11 settembre 2001, il suo odio per Israele e l’intenzione di versare il proprio sangue per la liberazione del Libano.

 

 

 

Se Elahi si dovesse “bruciare”, comunque, c’è almeno una decina di istituti culturali con personaggi altrettanto legati ai mullah sciiti, pronti a sostituirlo nell’opera di penetrazione culturale all’interno del Grande Satana. Per ora, operano nella sfera sociale e politica. Hanno fondato organizzazioni, moschee, scuole e università islamiche per diffondere l’ideologia della loro Guida Suprema Alì Khamenei e l’antisemitismo. A New York, con una dotazione di svariati milioni di dollari, opera la Fondazione Alavi, che sostiene il network iraniano in America sotto il profilo economico. E ora, a partire dall’ottobre 2023, in coincidenza con i massacri e i rapimenti di israeliani, il meccanismo è entrato in azione durante le manifestazioni di solidarietà con la “resistenza palestinese”. Cioè con i terroristi.

 

 

 

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