Urne

AfD, indiscrezioni clamorose sul voto in Brandeburgo: Olaf Scholz può saltare

Daniel Mosseri

Domani si vota in Brandeburgo e Olaf Scholz si prepara a una nuova delusione. Anche nel Land orientale che circonda la capitale Berlino i sovranisti di Alternative für Deutschland (AfD) si accingono a far man bassa di voti. A differenza però delle elezioni regionali che si sono celebrate a inizio mese nelle vicine Turingia e Sassonia, in Brandeburgo i socialdemocratici (Spd) sono al potere. A Potsdam, che oltre a essere “la Versailles di Berlino” è anche la capitale regionale, il partito del cancelliere non è al governo per un accidente della sorte ma è saldo in sella dal 1990, l’anno della riunificazione. 

Da allora si sono susseguite solo nove amministrazioni a guida rossa con soli tre governatori: la Spd, insomma, ha nel Brandeburgo una sua roccaforte che guida a briglia stretta. Lo stesso governatore uscente Dietmar Woidke è al potere dal 2013. Per la prima volta dal 1990, però, esiste la possibilità che la Spd perda la primazia a favore di AfD. Tanto più alto è il posto da cui si cade e tanto più male ci si può fare. In Sassonia, è vero, le elezioni per i socialdemocratici sono andate malissimo con il partito che ha portato a casa un misero 7,3 per cento dei voti, ma al giro precedente i rossi avevano racimolato solo il 7,7 per cento. Numeri non dissimili a quelli della Turingia. A Potsdam è diverso: qua la Spd è i primo partito co il 26,2 per cento e governa con il sostegno della Cdu (che nel 2019 aveva preso il 15,6 per cento) e dei Verdi 10,8): un’alleanza rosso-nero-verde chiamata “Kenya” dai colori della bandiera dello stato africano. Se i numeri indicati dai sondaggi saranno confermati, di Kenya da domani sera - lo spoglio è previsto a partire dalle 18 – non si potrà più parlare. Da un lato perché i Verdi non dovrebbero risucire a superare la soglia di sbarramento del 5% su base regionale, dall’altro perché AfD potrebbe soffiare alla Spd il titolo di partito più votato.

 

Woidke, poi, sta giocando una partita da scommettitore: consapevole del rischio di essere superato dall’ondata blu, il già tre volte governatore ha trasformato questa elezione in un referendum sulla sua persona. «Se AfD arriverà prima», ha promesso, «io mi farò da parte». Un “lascia o raddoppia”con il quale il navigato politico socialdemocratico cerca di “rubare” voti agli altri partiti di centro e di sinistra nella speranza di mettere un argine contro i sovranisti. D’altro canto, è il ragionamento di Woidke, perché un elettore verde dovrebbe votare per una formazione ecologista ormai senza speranza quando può puntare sulla più solida Spd? Un ragionamento che in teoria si può estendere anche alla Cdu. Il partito moderato ha puntato sull’idea di dare una spallata al “semaforo”, la coalizione che a Berlino sostiene il governo Scholz. E Woidke, mangiata la foglia, si è ben guardato dal farsi vedere i giro con il cancelliere. Niente comizi in comune, niente abbracci in pubblico: solo una breve stretta di mano giorni fa e poi via a ribadire l’unicità del caso Brandeburgo. Anche i co-presidenti federali del partito Saskia Esken e Kevin Kühnert sono stati invitati a navigare lontano da Potsdam.

Al crescere della impopolarità del governo Scholz, è cresciuta anche l’ostilità della Spd del Brandeburgo contro quella nazionale. Venerdì sera, per esempio, è montato il caso della ministra regionale delle Finanze Katrin Lange che ha suggerito di vietare alla copresidente Esken di partecipare a talk show televisivi. Woidek però non gioca solo una partita “contro”: dalla sua parte il governatore può vantare dei buoni risultati economici in un quadro dell’ex Germania est generalmente depresso; e può anche sfoggiare un fiore all’occhiello: è stato lui a convincere Elon Musk a portare a Grünheide, non lontano da Berlino, la Gigafactory per la produzione di auto Tesla.

 

Difficile dire se la sua operazione avrà successo: la crescita di AfD soprattutto all’est sembra inarrestabile. Due giorni fa il candidato in Brandeburgo Hans-Christoph Berndt e riuscito ad attirare l’attenzione su di se suscitando scalpore in televisione: «Dato che sono cattolico», ha affermato durante un dibattito sull’immigrazione, «per me carità significa prendersi cura dei membri del proprio popolo».