Il caso

Tajani: "Giacomo Passeri era pieno di cocaina"

Alessandro Gonzato

L’avevamo scritto un mese fa, quando la sinistra provava a montare un nuovo “caso Zaki”, a casaccio peraltro, perché questo governo ha svolto un ruolo importante nel rilascio dello studente egiziano. Alla Camera la dem Laura Boldrini strillava: «Giacomo Passeri è un ragazzo di 31 anni detenuto in un carcere egiziano perché trovato in possesso di una piccola quantità di marijuana per uso personale. Chiediamo al ministro degli Esteri di venire in aula a riferire, per riportare Giacomo in Italia il primo possibile».
Libero aveva dato la notizia che Passeri era in carcere con l’accusa di aver ingerito 60 ovuli di droga (potrebbero essere un po’ meno) trovati nello stomaco a seguito di un’operazione urgente d’appendicite. Ora, dopo che Passeri è stato condannato all’ergastolo (25 gli anni da scontare in un penitenziario egiziano), il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato: «Passeri è stato trovato con dosi di droga importanti. È ovvio che la condanna sia stata pesante, noi continueremo a seguire tutto ciò che accade, ma il traffico di droga c’era. La prova del reato è che gli hanno trovato addosso credo 40 ovuli di cocaina, e 40 ovuli di cocaina non sono per uso personale. Se lo fai per uso personale», ha sottolineato il ministro, «non li inghiotti. Quindi stava facendo traffico di droga».


Le opposizioni – ma immaginiamo solo momentaneamente – hanno perso la voce. Tra i pochi a strepitare, e lo aveva già fatto in parlamento, c’è Marco Grimaldi di Alleanza Verdi Sinistra, il quale aveva contestato la ricostruzione di Libero. Ora rilancia: «Chiediamo che il governo italiano faccia la propria parte». Andiamo avanti. L’avvocato di Passeri, Shaaban Said, ha annunciato appello: «Chiederò l’assoluzione, e la otterrò presto. Presenterò una richiesta parallela affinché il procuratore generale chieda l’estradizione in Italia». Il legale del detenuto (il ragazzo è originario della Sierra Leone e dopo alcuni anni a Pescara viveva a Londra) ha inoltre fatto sapere di non ritenere valido il procedimento processuale, «poiché gli avvocati inquirenti non hanno partecipato alle udienze. Per questo», ha ribadito, «ricorrerò contro il verdetto e farò del mio meglio per ottenere l’assoluzione di fronte alla Corte d’appello».

 


Torniamo a Tajani, che ha tenuto a sottolineare: «Adesso vigileremo affinché vengano rispettati tutti i diritti, e poi vedremo come sarà il processo di appello. Certamente non abbandoniamo nessun italiano, colpevole o innocente. Li seguiamo tutti con la massima attenzione. Noi», è andato avanti il ministro, «vogliamo che la pena sia la privazione della libertà, non la mortificazione e l’offesa alla dignità del detenuto. Abbiamo rispetto della persona. Le pene corporali non sono ammissibili, quindi opereremo perché il trattamento del detenuto sia confacente al rispetto dei diritti umani».