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Cina, i ragazzi si fingono uccelli per volare via dal Dragone reale

Costanza Cavalli

Un ragazzo cinese indossa una t-shirt oversize, le braccia sono nascoste, attaccate al corpo, le maniche svolazzanti. Dal fondo della maglietta spuntano le mani, avvinghiate alla sponda del letto, a mo’ di artigli. Aritmicamente il giovane struscia la testa sulla spalla.Chiocciola. Fortuna che abbiamo il pensiero analogico o, dopo aver visto uno, due, dieci, cento, mille video di giovani cinesi che fingono di essere un uccello penseremmo che sono matti. Oppure che siamo noi ad avere le traveggole. E invece i cinesi pennuti immaginari sono come cantava John Lennon nel 1977 - “free as a bird /it’s the next best thing to be”, libero come un uccello è la migliore cosa da fare - e come Cosimo Piovasco di Rondò, il dodicenne che Italo Calvino fece litigare con i genitori per un piatto di lumache e fece arrampicare su un albero. Tra i rami, il Barone rampante trascorse tutta la vita.

I rampolli orientali sono nati dall’uovo di mamma Cina, alle prese con il rallentamento della crescita del Pil e con la bolla immobiliare che si è riversata sul sistema bancario, con il debito pubblico che cresce e i cittadini spinti al risparmio, con la guerra commerciale contro gli Stati Uniti e con la disoccupazione giovanile in impennata. Nel giugno dello scorso anno, il tasso di disoccupazione per la fascia 16-24 anni aveva toccato il record del 21,3 percento, un giovane su cinque era senza lavoro. Le autorità, dopo non aver pubblicato dati per mesi perché dovevano “ricalibrare la misurazione del tasso”, ora registrano il 15,3% di disoccupazione tra i giovani delle città e il 7,2% per la fascia 25-29 anni. Ogni anno, inoltre, 12 milioni di laureati dovrebbero entrare nel mondo del lavoro: il numero si è quadruplicato nel giro di vent’anni (straordinario per un Paese che nel 1997 aveva meno di 3,5 milioni di studenti universitari). Infine, è sempre più marcato il mismatch tra ciò che i giovani hanno studiato e le effettive necessità delle imprese.

 

 

 

Gli anni del boom sono finiti e, mentre il governo pensa a come garantire stabilità sociale e crescita economica, i giovani studenti si sognano liberi di volteggiare nel cielo. Secondo Xiang Biao, direttore dell’Istituto Max Planck per l’antropologia sociale in Germania ed esperto della società cinese, molti giovani in Cina sono ormai disillusi: ciò che è stato loro raccontato fin dalla giovane età – che avrebbero avuto un futuro brillante se avessero studiato e lavorato sodo – non è più credibile. «Avevano aspettative molto alte su se stessi e sulla Cina. Ma quando si sono laureati e quando sono diventati adulti, sono stati vittime di un mercato del lavoro in contrazione», ha detto il professor Xiang al New York Times, «e dunque hanno iniziato a chiedersi: perché ho studiato così tanto? Per quale motivo ho sacrificato così tanta felicità quando ero giovane?”.

Tra salari in calo e orari di lavoro più lunghi, la scelta di assumere sembianze avicole non è l’unica forma di ribellione, pur sempre irreggimentata: la Generazione Z è tornata a leggere gli scritti di Mao Zedong e maledice lo sfruttamento capitalista, altri seguono il trend degli “sdraiati”, rinunciano cioè agli studi o al lavoro, lasciano la città e tornano in campagna dai genitori ad allevare maiali, altri ancora vanno in ufficio in tuta e ciabatte (la tendenza si chiama “gross outfits at work”, vestiti orrendi sul posto di lavoro), molti professionisti del settore tecnologico si sono trasferiti a Dali, cittadina di montagna nel sud-ovest del Paese diventata il bengodi di coloro che non sopportano più il caos e il costo della vita delle megalopoli.

 

 

 

La versione cinese dei nostri Neet (i giovani che non studiano, non stanno facendo formazione e non lavorano: in Italia sono 2,1 milioni) non piace affatto a Xi Jinping. In un articolo rivolto alle nuove generazioni, esorta a smettere di pensare di essere al di sopra del lavoro manuale o del ritorno in campagna. La storia si ripete: Mao Zedong inviò più di 16 milioni di giovani urbani, tra cui Xi, a lavorare nei campi durante la Rivoluzione Culturale. Dovrebbero imparare a «mangiare l’amarezza», ha detto il presidente, a sopportare le difficoltà. Per l’economia cinese potrebbe trattarsi di una stagnazione secolare o di una recessione ciclica: in ogni caso, nessun giovane pennuto sembra intenzionato a spiccare il volo.