Presidenziali americane

Tim Walz, familiari dei caduti in Iraq contro il vice-Kamala e le sue bugie sul militare

Dario Mazzocchi

«Mio figlio non aveva ancora 21 anni, non poteva nemmeno comprare bevande alcoliche. Eppure ha servito la sua nazione, mentre Walz ha scovato il modo migliore per scappare»: sono le amare parole con cui Kathy Miller ricorda oggi il figlio Kyle, morto per una mina nel 2006 in Iraq.
Le ha rilasciate in una lunga intervista al Daily Mail e suonano come una accusa pesante nei confronti di Tim Walz, il governatore del Minnesota scelto da Kamala Harris per completare il ticket democratico nelle Presidenziali di novembre.

Il passato ritorna e presenta il conto. L’addio all’uniforme di Walz è il tema caldo delle ultime ore, con media e avversari che passano in rassegna il curriculum del vice di Harris. Walz ha infatti prestato servizio per 24 anni nella Guardia nazionale del suo stato, il Minnesota, diventando sergente maggiore nello stesso battaglione del giovane Kyle. Quindi il congedo nel 2005: una tempistica che sa di escamotage per evitare il fronte iracheno. Quel che è certo, racconta Kathy Miller, è che da Walz non giunse nemmeno un messaggio di cordoglio dopo la morte del giovane Kyle. E se Harris ha provato a giocare la carta del governatore come di un politico che si spende per i diritti dei veterani, dalla sua vecchia unità militare arrivano commenti duri.

 

 

 

«Se le Torri gemelle stessero bruciando e ci fossero combattimenti per le strade, correrebbe nella direzione opposta», ha affermato Thomas Behrends, chiamato a sostituirlo prima della missione. Un’ultima stoccata arriva dall’ufficiale Jon Erickson, per il quale se Walz fosse stato davvero sul campo di battaglia, avrebbe saputo gestire il caos del 2020, quando le proteste del movimento Black Lives Matter misero aferro e fuoco Minneapolis. Intanto ieri lo staff di Donald Trump ha rispedito al mittente le voci che descrivono il tycoon in difficoltà nel reggere il ritmo di Kamala Harris, impegnata in cinque raduni solo in questa settimana: «Sono passati 18 giorni da quando Kamala è stata nominata candidata democratica e non ha risposto a una sola domanda dei media, il sito web della sua campagna non elenca alcuna proposta politica e ha rifiutato la sfida di partecipare a un dibattito il 4 settembre», si legge in un comunicato del comitato elettorale repubblicano. Non è un così un caso che proprio dalle fila democratiche arrivi una richiesta chiara per Harris: trovare un messaggio convincente sull’economica, dove Trump tiene banco.

L’allarme, raccolto dal sito The Hill, è lanciato da un grande finanziatore della campagna: «Occorre un solido messaggio sull’economia che Biden ha avuto difficoltà ad articolare». Se il clamore mediatico prosegue e i numeri dei sondaggi sembrano positivi, i contenuti ancora mancano nell’agenda Harris-Walz.
Sono invece inequivocabili le dichiarazioni di Anita Dunn, consigliere di lungo corso di Joe Biden, che – intervista da Politico.com – ha accusato la stampa e i Democratici per l’accanimento nei confronti del presidente americano. Dunn ha definito «negativo» l’ambiente che si è creato nei giorni precedenti alla rinuncia di Biden, con un partito più attento ai finanziatori che alla volontà dei suo elettori. Segno che il passaggio di consegne a Kamala Harris non è stato tutto rose e fiori.