Donald sgonfia il due democratico

Walz, così l’eroico vice di Kamala evitò l’Iraq

Carlo Nicolato

Avere come avversario Donald Trump non è mai piacevole. Non è chiaro se passi le giornate a studiare i punti deboli del nemico o se li individui a naso, fatto sta che li capisce in fretta. Con Kamala è già così: il leitmotiv degli attacchi alla narcisa vice-Biden è presto detto: «Kamala Harris non è intelligente quanto Biden, è difficile crederci, ma è così». Trump ha attaccato la candidata democratica definendola «non abbastanza intelligente per fare una conferenza stampa». «Non è riuscita a passare l’esame per diventare avvocato», ha detto ancora di Harris, che è stata procuratrice generale della California (nomina politica), e senatrice. «Sarà un gran fallimento, è incompetente», ha detto ancora.

E il giorno prima aveva detto che «Walz è più intelligente della Harris». L’ex presidente ha poi fatto un paragone con Hillary Clinton, da lui sconfitta nel 2016: «Hillary è molto più intelligente, mala Clinton è il peggior nemico di se stessa». Trump ha detto che quando era presidente avrebbe potuto incriminarla per tutte le cose «cattive» che aveva fatto: «ma ho pensato che sarebbe stato così brutto prendere la moglie di un ex presidente e metterla in prigione». Donald ha poi sfidato l’avversaria a tre dibattiti tv. Intanto ABC ha confermato il primo scontro per il 10 settembre. Ma in tempi di guerra la sfida per la Casa Bianca non poteva che finire a duello tra veterani. Ovviamente non si parla di Trump e Harris che una guerra non l’hanno neanche mai sfiorata, ma dei loro vice, di JD Vance, ex marine, e Tim Walz, ex Guardia Nazionale. Il colpo di apertura lo ha sparato Vance accusando il rivale democratico di quello che negli usa viene definito “valore rubato”, cioè in pratica di essersi vantato di aver servito in guerra quando in realtà ha lasciato l’esercito per entrare in politica due mesi prima che la sua unità ricevesse l’ordine di schierarsi in Iraq.

 

 

 

L’affondo è stato fin troppo facile, servito su un piatto d’argento da un video che gli sprovveduti responsabili della campagna di Kamala hanno distribuito sui social. In questa clip in cui si parlava del controllo delle armi, lo “zio d’America”, come qualcuno ha già definito il governatore del Minnesota, sostiene che l’importante è «che quelle armi da guerra, che ho portato in guerra, siano portate solo in guerra». Chi meglio di lui che ha servito per 24 anni nella Guardia Nazionale può saperlo? Peccato che Walz però in guerra non c’è mai stato. «Mi chiedo, Tim Walz, quando mai sei stato in guerra?». Ha chiesto Vance durante una tappa della campagna elettorale in Michigan. «Non ha trascorso un giorno in una zona di combattimento. Mi vergognerei se fossi in lui e mentissi sul mio servizio militare come ha fatto lui».
Colpito e affondato?

Nemmeno il repubblicano ha mai visto un vero giorno di combattimento, al fronte c’è stato ma in ufficio, lo ha ammesso lui stesso senza remore in un libro. Ma almeno mai si è vantato di avervi partecipato. Nelle campagne elettorali americane il fioretto è sempre stata merce rara, negli ultimi anni piuttosto è stato sostituito dal bazooka e non certo solo da parte di Trump, basterebbe ricordare gli insulti di Biden poco prima di mollare. Non si può dunque chiedere all’ex marine Vance di essere delicato nei confronti dell’avversario quando quest’ultimo poche ore dopo essere entrato nel ticket dem mostra così sfacciatamente il suo punto debole. «Quando a Tim Walz è stato chiesto dal suo Paese di andare in Iraq, sai cosa ha fatto?», ha continuato il repubblicano, «ha lasciato l'esercito e ha permesso alla sua unità di andare senza di lui». Alle accuse di Vance si sono unite quelle di un altro veterano, in questo caso pluridecorato in Afghanistan e Iraq, il repubblicano Mark Waltz (attenzione alla “t”), che ha paragonato la partenza di Walz dalla Guardia Nazionale a «il quarterback di una grande squadra che si allontana dalla propria squadra poco prima di andare al Super Bowl».

Su X ha poi rincarato la dose sottolineando di non aver mai sentito «di un comandante o di un sergente maggiore che si allontani dalla propria unità prima di scendere nel raggio d'azione». Il candidato Dem prima di lasciare la Guardia Nazionale aveva raggiunto il grado di sergente maggiore e quando è stato eletto per la prima volta nel 2006 è risultato essere il soldato di più alto rango ad aver mai prestato servizio al Congresso. Più tardi sarebbe diventato il principale democratico della Commissione della Camera per gli affari dei veterani. Insomma non una questione secondaria nel suo curriculum. Durante i suoi anni di servizio peraltro è stato schierato in Italia a sostegno delle operazioni contro il terrorismo in Afghanistan, mentre sul suolo americano è stato impiegato durante inondazioni e disastri naturali vari.

Le cronache dell’epoca raccontano che il 10 febbraio del 2005 Walz depositò alla Commissione elettorale federale i documenti necessari per candidarsi al Congresso. Il mese successivo, dopo che la Guardia aveva annunciato un possibile dispiegamento in Iraq entro due anni, Walz ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava che intendeva rimanere in gara: «Non so ancora se la mia unità di artiglieria farà parte di questa mobilitazione e non sono in grado di commentare ulteriormente i dettagli del dispiegamento». Era marzo e assicurò che comunque avrebbe servito il suo Paese, o a Washington o in Iraq. A maggio scelse Washington e due mesi dopo alla sua ex unità arrivò l’ordine per l'Iraq. Che abbia davvero ragione Vance?