Il ruolo della vittima
Usa, Kamala Harris parte malissimo: "Ha mentito sui suoi genitori"
"Mi guadagnerò e mi conquisterò la nomination presidenziale". Comincia così la campagna elettorale di Kamala Harris, la vicepresidente americana che ha ricevuto il testimone proprio da Joe Biden. Il riconoscimento implicito è che l'investitura del Partito democratico non è automatica. Lei sà di doversela meritare. Se infatti si fossero tenute delle primarie "normali", non sarebbe stato affatto scontato che la base dem avrebbe scelto proprio Kamala. A dire il vero, come scrive Federico Rampini sul Corriere, "è poco probabile che le avrebbe vinte lei". Ora Harris può contare solo sul fatto che il partito si trovi in una situazione di totale emergenza. E che il poco tempo a disposizione sia il suo più grande alleato.
C'è però una zavorra (pesantissima) che grava sulla candidatura di kamala e che di fatto le ha impedito di decollare negli indici di popolarità. Si tratta della politica identitaria, cioé "la decadenza della democrazia americana che soprattutto a sinistra si è trasformata in un mosaico tribale, fatto di gruppi etnici e altre minoranze, tutti gonfi di risentimento e recriminazioni, in costante richiesta di risarcimenti e corsie preferenziali", scrive ancora Rampini.
Kamala Harris si è completamente calata nella parte. Si è presentata come un'esponente di quelle minoranze vittime di razzismo. E ha recitato con veemenza e aggressività grazie a un'interpretazione da Oscar. Ma la sua vicenda personale dice tutt'altro. La storia dei genitori (una ricercatrice universitaria indiana discendente dalla casta privilegiata dei bramini; un celebre economista afro-giamaicano) è l’apoteosi di un American Dream costruito da élite di immigrati qualificati che diventano classe dirigente; il contrario dell’attuale ideologia politically correct. Kamala ha recitato la parte presentandosi come un’esponente di minoranze emarginate, discriminate e oppresse.