Il film

La storia dimentica l'eroe polacco: Pilecki, il romanzo diventa un film

Marco Patricelli

L’imperatore bizantino Leone III l’isaurico ritenne di dover rimuovere in nome della fede tutte le immagini sacre oggetto di culto e passò alla storia come “l’iconoclasta”. Più modestamente nella cattolicissima Polonia a trazione centrosinistra qualcuno ha pensato bene, si fa per dire, di rimuovere ogni riferimento nel Museo della seconda guerra mondiale di Danzica alle figure nobili di cattolici che compirono gesta straordinarie sorretti dalla fede e dai valori della libertà e della giustizia. Nella città dove all’alba del I settembre 1939 divampò un conflitto da 60 milioni di morti, sono spariti i riferimenti a Maksymilian Kolbe, Witold Pilecki e famiglia Ulma che le vite invece le salvarono al prezzo della loro: il sacerdote offrendosi al posto di Franciszek Gajowniczek condannato per rappresaglia a morire di fame dal vicecomandante di Auschwitz Karl Fritzsch; il capitano di cavalleria facendosi rinchiudere volontariamente nel lager per organizzare un movimento di resistenza e testimoniare al mondo gli orrori nazisti, restando dietro al filo spinato quasi mille giorni per poi evadere; Józef, Wiktoria e sei figli (più il settimo, nascituro) pagando la protezione a otto ebrei dalla Shoah nascondendoli in casa e passati per le armi senza pietà. Storie di coscienza e storie di guerra.

Ma Storia, appunto, in cui è entrata a gamba tesa la politica con la scusa di “raddrizzare” un progetto culturale, rimettendolo sui binari più graditi a Varsavia, prendendo a pretesto che il precedente governo di opposta filosofia (PiS) lo avrebbe a sua volta reindirizzato per metterlo più in sintonia con la propria visione. A suo tempo gli storici Norman Davies e Timothy Snider, che avevano collaborato alla stesura del progetto originale, avevano accusato l’esecutivo di centrodestra di usare «tattiche bolsceviche» nella riscrittura della storia, il che è per lo meno singolare; adesso, nuova ondata di critiche sul centrosinistra di Donald Tusk che ha tagliato corto sulle polemiche auspicando che vengano prese «decisioni che elimino la confusione che circonda questa vicenda».


E di confusione, sotto al sole di Danzica, deve essercene parecchia, se l’epurazione mascherata col ripristino della mostra nella sua forma originaria ha confermato quel detto secondo cui dove ci sono due polacchi ci sono tre pareri. Qui ci sono tre direttori, dal 2017, per due pareri: Karol Nawrocki, nominato dal governo nazional-consevatore, che apportò modifiche alla mostra, poi rilevato da Grzegorz Berend a sua volta licenziato dall’attuale ministro della Cultura e sostituito con Rafał Wnuk, già autore della mostra originale che l’ha ripristinata rimuovendo Kolbe, Pilecki e Ulma. Per il centrosinistra il centrodestra avrebbe utilizzato gli eroi nazionali come figurine di propaganda, strumentalizzandoli. Ma per l’attuale ministro della Difesa Władysław Kosiniak-Kamysz, della stessa coalizione di governo, è inaccettabile rimuovere figure limpide di patriottismo e di fede, e ha invitato a ripristinare l’esposizione com’era.
L’ex ministro dell’istruzione Przemysław Czarnek ha parlato di «scandalo anti-polacco» mentre il presidente del parlamento Szymon Hołownia ha esortato alla calma e a non aprire «un altro fronte nella guerra tra polacchi sulla storia. Gli storici, non i politici, dovrebbero decidere cosa includere nella mostra».


Appunto: vale lì come vale da noi. Dopo la seconda guerra mondiale nella Polonia sottoposta a sovietizzazione il regime impose una versione delle cause e degli sviluppi della seconda guerra mondiale piegata all’ideologia comunista: la Polonia «clericale e aristocratica» era stata responsabile dello scoppio del conflitto, l’esercito dell’interno (AK) era una formazione militare reazionaria perché tanto antinazista quanto antistalinista, l’esercito del legittimo governo in esilio era “fascista”; i 22.000 ufficiali trucidati a Katyn erano stati uccisi dai tedeschi, mica dai sovietici; i rivoltosi di Varsavia del 1944 erano complici di Hitler o al limite pazzi. E via di questo passo, menzogna su menzogna, fino a condizionare più di una generazione che di certi argomenti era meglio non si interessasse per non demolire l’ortodossia politica; a casa se ne parlava sottovoce per non perdere le gocce di memoria dei fatti nel mare avvelenato della propaganda. Il problema della riscrittura dei testi di storia si pose con prepotenza dopo il 1989 e il PiS investirà molto nell’IPN, ovvero l’Istituto nazionale della memoria. La figura di Pilecki (1901-1948) riemerse faticosamente perché l’uomo definito non a caso «il più coraggioso tra i coraggiosi» era stato processato e condannato a morte con false accuse proprio dal regime comunista, che lo fece giustiziare nella cella del carcere facendone poi sparire il corpo affinché la sua tomba non divenisse luogo di culto: nonostante le numerose esumazioni e i test del dna sui resti, non si conosce ancora il luogo di sepoltura di un uomo che combatté i due grandi totalitarismo del Novecento pagando la sua fede nella libertà con la vita. La vicenda di Pilecki sarà presto raccontata in un film, la coproduzione internazionale a guida americana «Enemy of my Enemy» con sceneggiatura di Matt King, e sul quale nel 2023 è stata lanciata all’American Jewish Committee la proposta di inserirlo tra i Giusti tra le Nazioni, mentre a Danzica proprio i polacchi ne hanno rimosso i ritratti dalla mostra. Strano? Mica tanto. Il 19 settembre 2019 la Risoluzione del Parlamento europeo sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa chiedeva agli Stati membri di celebrare il 25 maggio come giornata contro i totalitarismi, data scelta proprio in memoria dell’uccisione di Pilecki. I polacchi votarono contro.