Eliseo

Da Mélenchon a Macron, quanti eredi ha il vecchio Re Pirro e non solo in Francia...

Francesco Damato

Pirro, il re dell’Epiro passato alla storia grazie ai racconti di Plutarco per le sue vittorie effimere sui romani, costategli la sconfitta finale, morì nel 272 avanti Cristo, cioè 2296 anni fa. Ma ancora gli capita di rivivere in qualche sfortunato condottiero, in senso lato, che ne raccoglie lezioni ed eredità nei campi più diversi.

Ieri su Repubblica con la firma di Marc Lazar, che non è Plutarco ma pur sempre un apprezzabilissimo storico e sociologo francese esperto anche dell’Italia e della sua non facile politica, la successione di Pirro è toccata a Jean-Luc Melenchon. Che si sente con la sua Francia irriducibile, ribelle o come altro vogliamo tradurre la gallica insoumise, il vincitore del secondo turno delle elezioni di domenica scorsa Oltralpe, e quindi delle elezioni tout court, anticipate da Macron dopo la sconfitta nelle europee di giugno per contenere l’avanzata della destra lepenista.

Avvolto col cuore nelle bandiere che sventolavano davanti a lui nella piazza di Parigi dove parlava, e qualcuno avvertiva di rivivere un’altra edizione della Rivoluzione, con la maiuscola, dell’ormai lontano 1789, Melenchon ha reclamato il nuovo governo e la sua guida. Anzi, ha diffidato Macron dal sottrarsi a questo obbligo, maturato secondo il tribuno di sinistra dal suo stesso appello al fronte popolare costituitosi contro la destra incombente. Ma - figuriamoci - Macron ha ben altro per la testa. Non darà a Melenchon né il governo né la sua guida.

Avrebbe coabitato - come si dice politicamente a Parigi - con il lepenista Jordan Bardella, diventato Mardella in una scritta sul monumento parigino alla libertà, l’uguaglianza e la fraternità, ma con Melenchon no. E l’interessato dovrà darsene una ragione, gli ha spiegato Marc Lazar.

Il furbissimo, imprevedibilissimo Macron, per quanto ridotto al Micron dal mio amico e direttore Mario Sechi, ha deciso di giocare quello che Il Foglio ha chiamato il suo “terzo tempo”, una specie di coda alle elezioni che durerà con “nuovi interlocutori” non meno di un anno, quando egli potrà tornare a sciogliere anticipatamente l’Assemblea Nazionale. Ma - chissà - potrà durare anche di più, sino all’esaurimento ordinario del mandato presidenziale, con Parigi e l’intera Francia ben presidiate dai trentamila uomini in armi, di cui cinquemila solo nella Capitale, impiegati domenica scorsa. I francesi ormai con Macron vi sono abituati.

 

NENNI E PERTINI
Personalmente, per averne letto gli scritti, ho molta stima e anche simpatia per Marc Lazar. E nessuna naturalmente per Melenchon e il suo pasticciatissimo Fronte popolare, come tutti i fronti popolari, a cominciate da quello che da ragazzo vidi naufragare nel 1948 in Italia nelle urne dopo il pieno nelle piazze, come disse sconsolato Pietro Nenni.

Che aveva partecipato a quel suicidio socialista, facendosi dissanguare dai comunisti, con tanta fiducia da chiedere una volta al compagno di partito Sandro Pertini, che me l’avrebbe personalmente raccontato a Montecitorio quando era presidente della Camera: «Avremo tutte le persone necessarie e adatte a coprire i posti che ci spetteranno?». Poi, a sconfitta subìta, sempre secondo il racconto dell’interessato, toccò a Pertini consolarlo della delusione e cercare di infondergli qualche speranza di sopravvivenza politica.

RICORDATE ROMANO?
Marc Lazar, per tornare a lui, pecca di macronite limitandosi a Melenchon nella individuazione dell’erede di turno di Pirro. Penso, a dispetto dell’indulgenza anche degli amici del Foglio e dei “nuovi interlocutori” - ripeto- del presidente francese, che Macron faccia una bella concorrenza a Melenchon sulla strada del compianto re dell’Epiro. Egli mi ricorda un po’, per esperienza di cronaca politica, il Romano Prodi degli anni dell’Ulivo e poi dell’Unione, quando costruiva governi destinati a durare non più di un anno e mezzo. Che già era qualcosa in più del solo professore Prodi impegnato nel 1978 nella famosa seduta spiritica durante il sequestro di Aldo Moro. Ma soprattutto il Macron sopravvissuto alle elezioni di domenica mi ricorda la Rosalina che fantasticava dei guadagni dalla ricotta che portava al mercato prima che le cadesse dalla testa sulla quale la trasportava con troppa baldanza.