Gran Bretagna

Keir Starmer, la lezione di inglese alla sinistra de noantri

Corrado Ocone

Oggi, con molta probabilità, il Partito laburista vincerà con ampio margine di vantaggio le elezioni inglesi, ritornando al governo dopo una lunga fase in cui il potere l’hanno avuto in mano i conservatori. È abbastanza scontato che, a chiusura delle urne, quando le prime proiezioni ufficiali saranno disponibili, si alzerà un coro trionfalistico da parte delle sinistre italiane e francesi. «Oggi a Londra, domani a Parigi e Roma!». Qualcuno, con il solito spregio del ridicolo, arriverà persino a dire che «il vento è cambiato». Il che è ovviamente una falsità perché la realtà dice tutt’altro: quella d’Oltremanica è la classica eccezione della regola che vede in questo momento la destra trionfare un po’ dappertutto in Occidente. La specificità del caso inglese la si può cogliere da diverse prospettive. Prima di tutto bisogna osservare che nelle vene di quel Paese continua a scorrere sangue democratico. Un politico inglese non si opporrebbe mai al responso delle urne, mai si sognerebbe di infischiarsene del sentimento popolare. Le elezioni sono sacre ed il loro verdetto va rispettato, anche se non piace. Sulla Brexit ad esempio, una volta convocato il referendum, mai nessuno si è sognato di mettere fra parentesi le indicazioni che ne sono venute (come per esempio è successo in passato con certi referendum in Italia). Né di annacquarne le conseguenze o temperarne gli effetti.

In verità, la gestione della Brexit è stata la vera prova del fuoco che la classe dirigente del partito conservatore non ha superato, dimostrandosi incapace di gestirla e agendo con ambiguità e contraddizioni palesi. L’ampio margine di consenso che avevano i conservatori, e che probabilmente corrisponde ancora oggi ad uno stato d’animo diffuso nella società inglese, si è consumato poco alla volta, e poi rapidamente, proprio per la generale inconcludenza e incapacità da loro dimostrata, a cominciare dai tanti leader che si sono avvicendati sotto le insegne del partito a Downing Street.

 

 

 


Ma la regola della democrazia è l’alternanza, e quindi, pur dispiaciuti e affranti, anche noi di destra non possiamo non accettare un cambio di guardia voluto dagli elettori. Che il principio dell’alternanza sia, al contrario, a dir poco indigesto alle sinistre continentali lo vediamo in questi giorni in Francia, ove si sta mettendo in campo ogni stratagemma possibile per impedire al partito di Marine Le Pendi prendere in mano il potere. E che dire di ciò che è successo in Italia per un lungo periodo negli anni scorsi, quando con sistematica perseveranza è stato ignorato il voto dei cittadini? E in cui, ancora oggi, con un governo per fortuna forte e stabile, ci si adopera non poco per mandarlo a casa per via non democratica? Siamo sicuri che in Gran Bretagna la perdita del potere servirà ai conservatori per fare un severo esame di autocoscienza, elaborare dall’opposizione un coerente programma di alternativa ai laburisti, aspirare al governo da qui a quattro anni presentandosi agli elettori con una nuova classe dirigente. Anche questa dovrebbe essere una regola, abbastanza scontata, in democrazia. Quanto sia lontana dalla politica dei “fronti”, vere e proprie accozzaglie di forze diverse e contrapposte, non c’è bisogno di sottolinearlo. A ben vedere, l’unico scopo dei “frontisti” è l’ingovernabilità: quella degli altri, ma anche la propria ed eventuale perché, basandosi sui soli “no”, nessun coerente programma di governo è minimamente immaginabile. I laburisti inglesi hanno affrontato l’opposizione in altro modo, tentando una serie di esperimenti tutti clamorosamente falliti, a cominciare da quello di un partito radicale e anticapitalista guidato da un estremista comunista e antisemita come Jeremy Corbin.


Se alla fine hanno trovato la quadra è perché Keir Starmer è ritornato, in qualche modo, alla vecchia tradizione riformista, ha riconquistato i ceti più moderati, ha saputo aspettare che le contraddizioni in casa conservatrice emergessero tutte. La sinistra italiana è invece ancora in piena fase Corbyn, ove i leader fanno a gara a chi supera l’altro in radicalismo. Ovviamente, anche in Inghilterra siamo ben lontani dal tempo in cui trionfava quel riformismo liberale che, pur con tutti i suoi difetti, aveva in Tony Blair il suo campione. Il programma di Starmer è, dal punto di vista economico e fiscale, di tutt’altro tenore e le sue ricette statalistiche non faranno certamente tornare il tempo della Cool Britannia. Che però il premier in pectore sia lontano da molti di quei vizi antidemocratici della sinistra continentale attuale è evidente. Non crediamo che essa avrà molte ragioni sostanziali per gioire stasera del suo trionfo. Anche se, come al solito, farà del tutto per far sembrare il contrario.