Polemiche
L'Onu si inchina ancora ai talebani: niente donne al summit sull'Afghanistan
Questo fine settimana a Doha, in Qatar, si terrà la terza conferenza delle Nazioni Unite sull’Afghanistan. Alla prima, tenutasi nel maggio dello scorso anno, i Talebani, che governano il Paese da tre anni, non sono stati invitati. Alla seconda, dello scorso febbraio, si sono rifiutati di partecipare lamentando la presenza al summit di attivisti per i diritti umani. Alla terza l’Onu per convincerli ha acconsentito che alla conferenza partecipino solo uomini e non si parli di diritti delle donne. Ha calato le braghe insomma, secondo la sua più infame tradizione ha permesso che i peggiori trasgressori dei diritti umani dettino legge in quella che dovrebbe essere la casa degli stessi diritti ma che stadi fatto diventando punto di riferimento di estremisti, terroristi e tiranni islamici. «L’incontro di Doha si terrà nei prossimi giorni e l’Emirato islamico dell’Afghanistan è stato ufficialmente invitato a partecipare», ha annunciato trionfante il ministro degli Esteri talebano Amir Khan Muttaqi in una dichiarazione video.
«Abbiamo sviluppato buone relazioni con i Paesi vicini e regionali e stiamo anche perseguendo attivamente legami positivi e cordiali con i governi occidentale e statunitense» ha sottolineato, lasciando intendere dunque come l’incontro in Qatar suoni un po’ come lo sdoganamento definitivo per il governo degli studenti di Allah e le sue leggi. Ovviamente tutto questo ha provocato la reazione di organizzazioni quali Amnesty International, la cui segretaria generale Agnes Callamand ha dichiarato che «la credibilità dell’incontro andrà a pezzi se si non affronterà adeguatamente la crisi dei diritti umani in Afghanistan e non si riuscirà a coinvolgere i difensori dei diritti umani e altre parti interessate della società civile afghana». Il direttore esecutivo di Human Rights Watch, Tirana Hassan, si è detta invece scioccata e ha sottolineato come «escludere le donne rischi di legittimare gli abusi dei talebani e di provocare un danno irreparabile alla credibilità delle Nazioni Unite come sostenitrice dei diritti delle donne e della partecipazione significativa delle donne».
PIÙ REALISTI DEL RE
Dal canto suo l’Onu cerca di respingere le accuse, facendo presente, come ha detto Roza Otunbayeva, capo della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, che in questa fase bisogna andarci con i piedi di piombo. «Stiamo cercando di istituire un processo e preservare un importante meccanismo di consultazione» ha detto la Otunbayeva, «dobbiamo essere realistici su quanto ogni incontro in questo processo può offrire, soprattutto in questa fase iniziale in cui la fiducia è insufficiente». Ma mentre l’Onu mostra un’accortezza che in altre occasioni e nei confronti di altri interlocutori non ha avuto (vedi Israele), la situazione per le donne in Afghanistan continua a peggiorare. A seguito di un decreto emesso dal governo talebano due anni fa secondo cui le donne devono andare in giro rigorosamente coperte dalla testa ai piedi, le retate e gli arresti per “cattivo hijab” sono aumentati vertiginosamente, come ha denunciato la stessa Onu in un rapporto del febbraio scorso. Le fermano per strada, nei mercati, le vanno a prendere a casa di notte. In molti casi peraltro si sono registrati casi di violenza sessuale da parte dei carcerieri e di successivi suicidi. Alcune sono letteralmente scomparse nel nulla. Le autorità locali ovviamente negano tutto, ma a queste vicende si sommano altre note restrizioni, come il divieto a viaggiare da sole, o quello a studiare dopo la prima media. Le donne devono restare a casa, se non è strettamente necessario che escano, e un altro decreto introdotto a inizio 2023 impedisce loro di lavorare per Ong o per l’Onu stessa.
A tutto questo si aggiunge un’assistenza medica estremamente limitata, specie per le donne, con la gran parte di loro che partorisce in casa con l’aiuto della suocera. Non a caso l’Afghanistan è uno dei Paesi con il tasso di mortalità da parto più alto al mondo (638 su 100mila parti, secondo gli ultimi dati disponibili). «Sfortunatamente, la comunità internazionale vuole trattare con i talebani, ed è per questo che la loro agenda è sempre stata più importante per loro delle donne afghane, della democrazia o di qualsiasi altra cosa», ha detto lapidaria Habiba Sarabi, nota per essere stata la prima donna governatrice di una provincia afghana.