Alla frutta
Joe Biden, la mossa della disperazione: dopo aver definito Milwakee "una città orribile"...
Sarebbe da pazzi pronosticare che Joe Biden alle elezioni presidenziali di novembre possa perdere in California. O che Donald Trump possa affermarsi nello Stato di New York. Quando si vota per le presidenziali, in America ci sono Stati già virtualmente assegnati prima dell’apertura dei seggi, perla loro storica tradizione repubblicana o democratica. Stati blu (democratici) e rossi (repubblicani).
Poi ci sono Stati che, per molteplici ragioni (demografiche, economiche, etniche), sono molto più instabili. E imprevedibili. Negli Usa li chiamano “swing States”, Stati “ballerini”. Non sono sempre gli stessi di elezione in elezione. Ma, in vista della tornata elettorale che si terrà il prossimo novembre, gli analisti d’oltreoceano ne hanno identificati sette: Nord Carolina, Pennsylvania, Georgia, Michigan, Wisconsin, Arizona e Nevada.
Messi insieme, “valgono” 93 voti elettorali (dei 270 necessari per vincere). Che non sono tanti, se si considera che California e Texas, messi assieme, ne conferiscono di più (94). Ma, a detta di tutti, non sarà né in California né in Texas, ma in quei sette altri Stati, che si deciderà chi andrà alla Casa Bianca per i prossimi quattro anni.
E, stando ai sondaggi più recenti, Donald Trump gode di un margine di vantaggio assai incoraggiante sul presidente in carica. Secondo le rilevazioni effettuate tra il 13 e il 18 giugno dall’Emerson College per uno dei siti web più autorevoli nella politica a stelle e strisce, thehill.com, il tycoon è davanti al presidente in carica in sei dei sette “swing States”: 45% a 42% in Pennsylvania (col “terzo incomodo” Robert Kennedy al 5%); 45 a 37 in Georgia (con Kennedy al 6); 44 a 42 in Wisconsin (Kennedy al 6); 44 a 42 pure in Michigan (Kennedy al 5); 42 a 39 in Nevada (Kennedy al 7); 43 a 39 in Arizona (Kennedy all’8). Sul Nord Carolina ci sono tre rilevazioni che risalgono al 7-11 giugno del The Telegraph e di Spry Strategies che danno sempre Trump avanti, 43 a 40 e 45 a 37; e una terza dell'Università del Nord Carolina (effettuata tra il 31 maggio e il 3 giugno) che dà il tycoon avanti di 5 punti (48 a 43).
GEORGIA
Potrebbero apparire margini di vantaggio esigui (tranne quello in Georgia, che è di ben 8 punti percentuali e due dei tre in Nord Carolina che sono di 8 e 5 punti) e oltretutto condizionati dai margini di errore che necessariamente si accompagnano ai sondaggi di opinione.
Ma occorre ricordare che nel 2020 Biden si impose su Trump con un vantaggio di 0,23 punti percentuali in Georgia; di 0,30 in Arizona; di 0,63 in Wisconsin; di 1,17 in Pennsylvania. E nell’unico dei sette Stati in cui fu Trump a prevalere, il Nord Carolina, lo fece con un vantaggio dell’1,34%.
Per cui, scarti come quelli emersi dai sondaggi non possono che essere allarmanti per Biden. Il presidente, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal venerdì, parrebbe deciso a puntare forte sulla riconquista del Nord Carolina, dove conta 16 uffici della sua campagna elettorale, 60 membri dello staffe dove ha investito fin qui 5,2 milioni di dollari in spot tv e radiofonici e in pubblicità sui social.
Sembrerebbe uno sforzo vano, in uno Stato a tradizione repubblicana in cui Trump ha vinto sia nel 2016 sia nel 2020, non fosse per un dato demografico macroscopico: dal 2020 a oggi, 100mila persone l’anno si sono trasferite a vivere lì, provenienti per lo più da Stati a fortissima trazione dem come la California e New York.
Il vecchio Joe si sta giocando non poche cartucce anche in Pennsylvania (il suo Stato natale), dove ha aperto 24 uffici elettorali, investito 4 volte i dollari di Trump e dove si è recato la bellezza di 7 volte nel solo 2024, e in Wisconsin, dove lui e i dem hanno montato un caso su una frase che Trump avrebbe pronunciato aporte chiuse. Parlando della convention repubblicana di luglio, l’ex presidente avrebbe definito Milwaukee una “città orribile”. Parole da lui stesso smentite («Mi riferivo alla pessima gestione della città e dell’ordine pubblico»), ma sufficienti a spingere i dem ad acquistare in città dieci enormi cartelloni pubblicitari con la frase di Trump e a stampare migliaia di t-shirt e adesivi con la scritta “(not) a horrible city”.
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DISPERAZIONE
Iniziative che rendono l’idea della disperazione in cui Biden e i suoi si trovano in quelli che erano considerati prima del 2016 “Stati blu” al pari del Michigan, dove alle primarie democratiche dello scorso febbraio più di 100mila elettori hanno scritto sulla scheda “uncommitted” (“non allineato”), per protestare contro la gestione da parte del presidente del conflitto tra Israele e Hamas. Oltre che con la più vasta comunità islamica d’America (300mila persone), in Michigan Biden se la dovrà vedere anche il voto degli afroamericani, crollato al 56% secondo un recente sondaggio pubblicato da USA Today.
In Arizona e Nevada, afflitti dall’emergenza immigrazione causata dalla politica di “porte aperte” dell’amministrazione Biden, Trump dovrebbe vincere a mani basse. Ma, non bastassero i disastri causati dal suo avversario, durante una recente visita a Las Vegas ha messo sul piattola proposta di abolire la tassa sulle mance in uno Stato, il Nevada, in cui decine di migliaia di persone lavorano nei casinò e per le quali le mance costituiscono una cospicua porzione del reddito.
E infine c’è la Georgia, dove Trump veleggia con 8 punti di vantaggio sul vecchio Joe. Che si spiegano anche con tutto quel che è successo da quelle parti (dove nel 2020 Biden vince con un margine dello 0,23%, pari a 11.779 voti) da un anno a questa parte: l’accusa di aver voluto sovvertire l’esito del voto chiamando il segretario di Stato per chiedergli di “trovare 11.780 voti”, il rinvio a giudizio, la celebre foto segnaletica scattata nella prigione di Fulton County e poi finita come un trofeo sulle t-shirt di migliaia di militanti repubblicani.
Idem (e le procure distrettuali “amiche”) dovrebbero aver capito che Trump, parafrasando uno spot tv italiano degli anni Ottanta, è uno che “più lo mandi giù, più si tira su”. E quegli 8 punti di vantaggio nello Stato più combattuto di tutti appena quattro anni fa, sono lì a dimostrarlo.