Spennati

Francia, il grande malato d'Europa: deficit e debito, la crisi è sistemica

Michele Zaccardi

Prima il declassamento da parte dell’agenzia di rating S&P. Poi la vittoria dilagante di Marine Le Pen alle Europee. Infine, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e la convocazione di nuove elezioni per il 30 giugno (il 7 luglio i ballottaggi), che ha fatto schizzare lo spread con il Bund tedesco dai 50 punti base di venerdì 7 ai 78 di settimana scorsa, per poi ripiegare ieri a 71. Questo mentre la Borsa la settimana scorsa ha perso il 6,29%, azzerando quasi tutti i guadagni dell’anno. E se le fibrillazioni sono in parte rientrate (ieri Parigi ha chiuso in positivo, a +0,76%), resta il fatto che la Francia presenta alcune debolezze strutturali. A cominciare dal debito pubblico (ora al 110,6%) che S&P vede raggiungere il 112% del Pil nel 2027, dietro la spinta di deficit crescenti. E che, soprattutto, in valore assoluto è il più alto d’Europa, avendo sfondato la soglia dei 3mila miliardi di euro già l’anno scorso. Poco meno di un mese fa, l’Insee, l’istituto di statistica francese, ha rivisto al rialzo il disavanzo del 2023 portandolo al 5,5% (154 miliardi) rispetto al 4,9% stimato dal governo.

E non aiuta di certo il fatto che, davanti a questi numeri che infrangono la soglia del 3% sancita dalle regole europee, la Commissione aprirà oggi una procedura per deficit eccessivo (anche nei confronti dell’Italia). Per ridurre il disavanzo, inoltre, il governo ha già annunciato tagli alla spesa per 20 miliardi di euro per il 2025. Una manovra, che si aggiunge ad altri 20 miliardi di risparmi per l’anno in corso, necessaria anche a limitare la corsa del debito. Nonostante in percentuale del Pil sia ancora inferiore a quello italiano (137,3%), il debito francese potrebbe infatti risentire maggiormente di eventuali tensioni sui mercati, visto che è in gran parte detenuto da investitori esteri. Una situazione che rischia di aggravarsi ulteriormente, in seguito alla riduzione del bilancio della Banca centrale europea, che ha iniziato a liberarsi, non rinnovandoli, dei titoli di Stato che ha comprato a mani basse negli ultimi anni. Proprio per far fronte al taglio degli acquisti da parte di Francoforte, il governo Meloni ha puntato, con emissioni loro riservate come il Btp Italia, sui risparmi delle famiglie. Una strategia che si sta rivelando vincente.

 

Come riportato dall’economista Marco Fortis su Il Sole 24 Ore, infatti, il debito pubblico detenuto dalle famiglie italiane è aumentato lo scorso anno di 106 miliardi (e di 13 miliardi quello nelle mani delle imprese non finanziarie). Il contrario di quanto avvenuto in Francia. Dove, nel 2023, gli investitori stranieri hanno più che coperto l’incremento del debito pubblico, cresciuto di 148 miliardi, con acquisti netti per 165 miliardi. Il che significa che i residenti- siano banche famiglie o imprese - hanno ridotto la loro esposizione verso i bond governativi.

 

Tutto questo si riflette in una percentuale del debito francese in mani estere pari al 50,3%, contro il 27,6% dell’Italia e il 45,2% della Germania. Le cifre in valore assoluto sono ancora più impressionanti. Basti pensare che, a fronte di un debito che nel 2023 si è attestato a 3.101 miliardi di euro, quello detenuto fuori dai confini francesi era pari a 1.567 miliardi.
Mentre in Italia, su 2.863 miliardi, i non residenti avevano in pancia “solo” 789 miliardi.

Ma oltre alla delicata situazione dei conti pubblici, che accomuna la Francia al nostro Paese, a preoccupare è soprattutto la progressiva perdita di competitività dell’economia francese, che si traduce in costanti squilibri con l’estero. Dal 2006 la bilancia commerciale è sempre stata in negativo. Tradotto: per finanziare le importazioni, gonfiate dai deficit dello Stato che alimentano i consumi interni, i francesi devono prendere a prestito dall’estero.

Anche il conto delle partite correnti, che registra le transazioni internazionali in merci e servizi più redditi da lavoro e da capitale (come interessi sulle obbligazioni e dividendi), è costantemente in rosso da 17 anni (tranne che nel 2019 e nel 2021). Dopo un rosso di 54 miliardi messo a segno nel 2022, l’anno scorso il disavanzo si è attestato a 21 miliardi. Oltre alla Germania, che registrato un surplus abnorme a quota 243 miliardi, anche l’Italia ha fatto meglio, chiudendo in avanzo di 10,5 miliardi.

Non solo. Perché prolungati deficit nei conti con l’estero si traducono in un incremento di debito estero. Basta guardare alla posizione patrimoniale con l’estero, che misura la differenza tra attività e passività accumulate nel tempo dai privati e dallo Stato. Dal 2018, il saldo tra debiti e crediti è sprofondato, passando da un rosso di 455 miliardi a 824 miliardi nel 2023. Nello stesso periodo l’Italia ha invece migliorato la sua posizione, diventando un creditore netto: il saldo negativo di 92 miliardi registrato nel 2018 ha cambiato segno e l’anno scorso ha raggiunto i 154 miliardi.

Se dunque la competitivtà dell’economia italiana appare fuori discussione, lo stesso non si può dire di quella francese. La soluzione, però, appare di difficile attuazione: una forte compressione della domanda interna (ovvero consumi e investimenti), necessaria a ridurre le importazioni e migliorare così i conti con l’estero, provocherebbe più di qualche malumore nell’elettorato francese. Ma il punto è che, prima o poi, una correzione sarà inevitabile.