Il presidente brasiliano
Lula idolo sinistro: "Israele come Hitler"
Sentite come parla l’ultimo (ad ora) Papa straniero della sinistra italica, Luiz Inácio da Silva detto Lula, il barbudo per cui il futuro del Brasile sta nel terzomondismo spinto. «Ciò che sta accadendo al popolo palestinese nella Striscia di Gaza non è esistito in nessun altro momento storico». Proprio così, in nessun altro momento storico. Non l’Holodomor ucraino, il genocidio sotto forma di carestia indotta dal compagno Stalin, circa 6 milioni di morti. Non la rivoluzione culturale cinese, l’oceano di sangue in tributo all’ortodossia del Partito voluto dal compagno Mao, su cui le stime variano da alcuni milioni a 20 milioni di vittime. Non la macelleria cambogiana ad opera dei khmer rossi, la distopia della “purificazione” di un popolo perseguita dal compagno Pol Pot, tra i 2 ei 3 milioni di morti.
No, «in effetti esisteva», qualcosa di paragonabile, si autocorregge Lula con rodata maestria scenica, e se possibile riesce a fare di peggio, a scomodare il topos per eccellenza dell’antisemitismo contemporaneo. «Quando Hitler decise di uccidere gli ebrei».
E non scende il gelo, nella sala stampa di Addis Adeba da dove il presidente brasiliano, ospite al vertice dell’Unione Africana, ha (stra)parlato.
Nessuno interrompe, dissente, chiede conto dell’enormità. La risposta viene trascritta così sui taccuini, come fosse una qualsiasi supercazzola generica a proposito dell’imprescindibile partnership per lo sviluppo. Lo Stato degli ebrei e il Terzo Reich, Bibi e Adolf, la stella di David e la svastica. Non c’entra nulla la critica anche dura, anche faziosa, anche volutamente unilaterale alle azioni di Israele dopo il 7 ottobre (ovvero dopo il pogrom d’inizio millennio, solo per rammentare il dettaglio a Lula e alle sue groupie nostrane). Che sarebbe l’opposto di quanto si pensa da queste parti, ma rientrerebbe nel canovaccio del dibattito democratico. No, qui siamo alla bestemmia esistenziale, prima che storica.
Qui si sta rovesciando sui figli d’Israele la sofferenza incalcolabile dei padri, non-uomini scientemente e industrialmente ridotti a cose nel luogo pensato per l’unico trattamento che merita la non-umanità, lo sterminio di massa.
Qui si sta vigliaccamente evocando il lager, ovvero la maledizione del Novecento, il totalitarismo della razza. E lo si sovrappone alla guerra che l’unica democrazia, l’unico Stato di diritto, l’unica società aperta del Medio Oriente sta conducendo contro gentiluomini spesso immortalati (quelli sì) a fare il saluto nazista, le belve di Hamas. I gentiluomini che quattro mesi fa hanno replicato la parola d’ordine di allora, la mattanza dell’ebreo in quanto ebreo. È un cortocircuito da birreria di Monaco, o da tunnel di Gaza, non da leader del più importante Paese sudamericano.
E infatti la replica di Netanyahu arriva immediata: «Le frasi pronunciate dal presidente del Brasile varcano una linea rossa. Sminuiscono la Shoah e rappresentano un tentativo di colpire il popolo ebraico e il diritto di Israele alla difesa». Vedremo cosa diranno i progressisti cacciatori di revisionisti immaginari dell’Olocausto, adesso che il loro idolo lo revisiona davvero. In ogni caso, il premier israeliano aggiunge che «con il ministro degli esteri Katz abbiamo deciso di convocare immediatamente l’ambasciatore del Brasile per esprimergli il nostro biasimo».
Sarebbe bello che il biasimo fosse dichiarato anche da tutte quelle anime belle che una volta all’anno condividono post copia&incollati sul dovere della Memoria, ma temiamo di sapere che nel loro caso trattasi di memoria selettiva. Sarà già tanto se non rivolteranno il “biasimo” contro Netanyahu, quest’ebreo di destra che si permette di criticare il compagno carioca. Intanto, Lula sminuisce pure lo scandalo dell’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite i cui membri il 7 ottobre scorrazzavano allegramente con gli sgozzatori di Hamas tra i kibbutz insanguinati. «Se c’è stato un errore in quell’istituzione che raccoglie i soldi, bisogna scoprire chi ha commesso l’errore». L’«errore» l’ha spiegato, documentazione alla mano, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant: «Almeno 12 operatori dell’Unrwa hanno partecipato attivamente all’attacco. Oltre a questi, abbiamo indicazioni significative basate sull’intelligence secondo cui oltre 30 operatori hanno partecipato al massacro, facilitato la presa di ostaggi, saccheggiato e rubato nelle comunità israeliane».
Più che un errore, pare proprio complicità in carneficina. Ma nella neolingua di Lula le parole assumono significati inediti, e la soglia del ridicolo (oltre a quella del tragico) viene spostata sempre un po’ più in là. Sentite il suo commento sulla fine di Navalny nel gulag artico: «Non so se era malato, se aveva problemi. Io preferisco attendere il referto del medico legale». Ma certo, aspettiamo il referto del medico legale di Putin. Intanto, diamo tranquillamente dei nazisti agli israliani. Così parlò Lula, «un simbolo straordinario» (Elly Schlein), quello con cui «vince la solidarietà» (Laura Boldrini), quello il cui trionfo era «un buon giorno perla democrazia» (Nicola Fratoianni). Perla nota democrazia solidale di Hamas, soprattutto.