Le dimissioni della presidente dell’ateneo

Ad Harvard si combatte la sfida tra due Americhe

Andrea Morigi

Se fossero sufficienti i finanziamenti dal mondo islamico per mantenere le costosissime università statunitensi, i progressisti non dovrebbero preoccuparsi troppo per quella che definiscono l’offensiva culturale della destra. Invece, vedono traballare le loro cattedre e gridano allo scandalo dopo le dimissioni della presidente dell’ateneo di Harvard, Claudine Gay, accusata di aver copiato, senza citarle, pubblicazioni scientifiche altrui. A parere della diretta interessata, non è per via dell’attività di saccheggio sistematico che la sua carriera si è bruscamente interrotta, ma le cause dell’allontanamento volontario sarebbero da ricercarsi negli «attacchi personali e minacce alimentate da razzismo», benché ammetta anche un’ipotesi più verosimile, cioè il dubbio seminato sui «miei impegni nell’affrontare l’odio e nel sostenere il rigore accademico».

Manco fosse una perseguitata, le viene in soccorso un gigante dell’informazione, l’Associated Press, che diffonde a livello mondiale una nota in cui incornicia la vicenda in un contesto cospiratorio, sigillato dal classico quesito complottista: a chi giova? Alle frange reazionarie, naturalmente, dipinte come un pericolo mortale per la libertà accademica contro la quale è stata già «innalzata la minaccia di dissotterrare il plagio», come se fosse un’ascia di guerra, anzi addirittura «l’arma conservatrice contro le università».

 

 

Si può concordare sul fatto che per la sinistra la proprietà – anche intellettuale – sia tuttora da considerarsi un furto, come teorizzava Karl Marx, ma non lasciar passare la tesi secondo cui la difesa del copyright si inserisce in «un più ampio sforzo della destra per rifare l’istruzione superiore, che è stata spessovista come un bastione del progressismo». Perciò, spiegano Collin Binkley e Moriah Balingit, entrambi giornalisti esperti in tema di educazione, «i detrattori Repubblicani hanno tentato di abbattere i finanziamenti per le università pubbliche, ridurne le prerogative e bandire iniziative che rendono i college più accoglienti verso studenti di colore, disabili e la comunità Lgbtq+. Hanno anche puntato a limitare le modalità di discussione su razza e gender».

In realtà, da decenni Campus Watch denuncia l’infiltrazione di propagandisti e sostenitori del terrorismo islamico, che ottengono incarichi prestigiosi come insegnanti di corsi dalle denominazioni più disparate. L’ultimo caso riguardava Mohammad Jafar Mahallati, prima “professore di Pace” all’Oberlin College dell’Ohio e poi sospeso lo scorso 28 novembre in seguito ad accuse di crimini contro l’umanità, antisemitismo e apologia di genocidio.

Che da anni sia in corso negli Stati Uniti una battaglia non solo culturale, ma che sfocia anche in atti di violenza e censura contro la civiltà giudeo-cristiana, i suoi simboli, la sua storia e le sue forme giuridiche più caratteristiche, non pare emergere come tema di stretta attualità per gli estensori dell’articolo dell’Ap. Sostengono semmai che l’intolleranza sia un’impronta biblica e patriarcale caratteristica d’individui bianchi, maschi, eterosessuali e delle comunità di credenti in Dio, dei quali le minoranze etniche e di orientamento sessuale non binario sarebbero le vittime da risarcire.

 

 

L’ideologia “woke” (dell’essere “svegli”, “consapevoli”), o del “politicamente corretto”, ha introdotto una diversa idea di uomo e di giustizia, per cui i diritti dell’uomo non sono più universali e non dipendono dal fatto di essere una persona,ma dipendono dall’appartenenza a un gruppo discriminato. Eppure, la Gay davanti al Congresso degli Stati Uniti, si era rifiutata, insieme a Liz Magill dell’Università della Pennsylvania e a Sally Kornbluth del Massachusetts Institute of Technology, di condannare le manifestazioni antisemite organizzate dagli studenti delle università, che avevano manifestato a sostegno di Gaza e contro Israele. E, pur ammettendo che promuovere il «genocidio degli ebrei» viola le regole dell’ateneo di Harvard, ritiene che la liceità morale del richiamo allo sterminio «dipenda dal contesto».

Che l’unica verità sia l’assenza di una verità è un concetto tipico del relativismo, ultimo residuato delle ideologie sopravvissute al Novecento, in base al quale si riesce a giustificare qualsiasi atto. Purché poi non si avanzi la pretesa di esercitare l’egemonia sulleistituzioni scolastiche attraverso il bilancio, cioè con i fondi statali o federali. Già alcuni influenti donatori avevano annunciato il ritiro dei loro contributi alle università americane più coinvolte nella propagazione dell’antisemitismo. Ma il vero timore dell’intellighenzia di sinistra, ora che si è aperta la campagna elettorale per la Casa Bianca, è che l’America si sia stancata di loro e si ribelli a chi odia l’Occidente.