Passo indietro

Liz Magill, lo sfregio a Israele e le dimissioni che salvano gli Stati Uniti

Giovanni Sallusti

«Sto chiedendo se invocare il genocidio degli ebrei violi o no le vostre regole di condotta». «Dipende dal contesto». A fornire questa risposta non è stato un membro del Consiglio dei guardiani iraniani della rivoluzione islamica, né un gerarca di Hamas dalla suite in Qatar e nemmeno un neonazi che aveva alzato un po’ il gomito. No, è stata Liz Magill, rettrice dell’Università della Pennsylvania, che fa parte della Ivy League, la crème del sistema d’istruzione americano. O meglio, ex rettrice. Essì, perché dopo le surreali risposte date alla deputata repubblicana Elise Stefanik durante l’audizione al Congresso sulle inquietanti manifestazioni pro-Hamas andate in scena negli atenei dei rampolli dell’alta borghesia Usa, la rettrice non è riuscita a reggere.

Troppo insostenibile la pressione per i vertici universitari, troppo bipartisan la denuncia della reticenza in bilico sull’antisemitismo, troppo deflagrante anche il danno economico (il miliardario Ross Stevens ha ritirato i 100 milioni di donazioni in borse di studio alla Penn University, e altri investitori minacciavano di seguirlo). Soprattutto, troppo cacofoniche le parole che, da presidente di un tempio del sapere d’Oltreoceano, aveva sciorinato davanti ai rappresentanti del popolo americano. Precisamente, Stefanik aveva chiesto: «Rettore Magill, alla Penn invocare il genocidio di ebrei viola le regole o il codice di condotta, sì o no?». Lei si era subito rifugiata nella sofistica: «È una decisione che dipende dal contesto... Se le parole si trasformano in condotta può essere molestia, sì». La deputata del Gop l’aveva subito fulminata: «Condotta che significa atto di genocidio?! Questo è inaccettabile, signora Magill».

 

 

 

Insomma se commetto genocidio forse, si, insomma è probabile stia molestando qualcuno. Se mi limito a incitare a commetterlo, niente, sono al riparo del «contesto». Il grande classicista Allan Bloom la chiamava «la chiusura della mente americana»: l’atrofia dei capisaldi della civiltà occidentale in nome di una falsa apertura, di un lasco relativismo che livella tutto con il suo contrario, Socrate e Shakespeare con gli studi “multiculturali” e “anticoloniali”, i diritti individuali con la dittatura delle minoranze, i tagliagole coranici con l’unica democrazia del Medio Oriente. Non a caso per Bloom l’epicentro di questo pseudoprogressismo oscurantista stava proprio nei campus d’America, nella fucina della classe dirigente.

Non era da sola, Liz Magill, ad offrire in audizione la propria sponda prestigiosa al collaborazionismo filo-Hamas: con lei c’erano le colleghe Claudine Gay di Harvard e Sally Kornbluth del Mit. Siamo al top dell’istruzione universitaria occidentale, siamo in luoghi che offrono corsi d’eccellenza sugli sviluppi delle nanotecnologie o sulla teoria dei giochi applicata alla macroeconomia, e poi non hanno gli antidoti elementari di fronte all’orrore puro, il pogrom che ritorna, la caccia all’ebreo in quanto ebreo. È l’iperspecialismo accademico che si fonde col politicamente corretto spinto, con quella che il sociologo canadese Mathieu Bock-Côté definisce «utopia diversitaria»: il culto esotico e idealizzato dell’Altro purchessia, basta che non sia il barbaro uomo bianco occidentale (se ebreo, peggio che peggio).

 

 

Il tuo browser non supporta il tag iframe

 

Non a caso, mentre la Gay si è quantomeno scusata in un’intervista al giornale degli studenti assicurando che ad Harvard gli inviti alla violenza contro gli ebrei «non hanno spazio», la Kornbluth ha incassato il «sostegno pieno e incondizionato» del board del Mit, per la sua «capacità di unire la nostra comunità affrontando l’antisemitismo, l’islamofobia e altre forme di odio». Un’oscena insalata mista valoriale, per cui non condannare l’antisemitismo islamista sarebbe un modo di combattere l’odio. E dire che basterebbe tornare a Popper, alla tolleranza estesa a tutti, meno che agli intolleranti. Meno che a chi relativizza l’invito a farla finita col popolo ebraico, per esempio. L’America è su un piano inclinato, ma buone notizie come le dimissioni di Liz Magill dicono che può ancora salvarsi.