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Reem Sahwil, la bimba che pianse davanti a Merkel vuole cancellare Israele

Francesco Storace

Un simbolo contrapposto a una belva. Era il ritratto che nel 2015 tutti i media offrivano di una quattordicenne palestinese, figlia della guerra tra Israele e gli Hezbollah, che si combattevano ai confini del Libano. In un campo profughi del paese del Cedro era nata Reem Sahwil. Diventò il simbolo dei rifugiati che chiedevano soccorso a quella che in tv lesi palesò come la belva. Che si chiamava Angela Merkel: di fronte alla ragazzina in lacrime aveva detto che «non potremo aiutare tutti a restare da noi». Polemiche, l’inferno in terra, i soliti tedeschi... Le rassegne stampa gonfie di rabbia, lezioni etiche alla cancelliera, carezze alla bambina.

Poi, ci ha pensato la “cultura”, nell’anno di grazia 2023. Reem è cresciuta, ora ha 23 anni. La belva ha smesso con la politica e lei, la ragazzina in lacrime di allora, ha preso il suo posto. Non come cancelliera, né tantomeno come simbolo, ma come nemica. Perché in questi anni ha imparato – le hanno insegnato – ad odiare Israele. Commosse l’Europa, ora potrebbe spaventarla. Piangeva per avere dalla Merkel la cittadinanza tedesca, l’ha avuta. Ora pubblica sui social mappe geografiche senza Israele. La cittadinanza – e la vita – vuole negarle agli ebrei. Antisemitismo, dovrebbe chiamarsi.

È stato sul suo profilo Instagram che Reem ha pubblicato un disegno che mostra i contorni di Israele e dei territori palestinesi. Sotto c’è la frase “Dal fiume al mare #freepalestine”. Un detto che si riferisce alla “liberazione”' dell’area in cui esiste lo Stato ebraico, dal Mediterraneo al fiume Giordano. Significa cancellarlo. In quel dialogo del 2015 con la Merkel, quella ragazzina aveva parlato della sua paura di essere deportata dalla Germania dove era riuscita ad arrivare con la sua famiglia.

Poi, gli anni passati, la trasformazione, l’odio che si infila nelle viscere di quella che era una creatura. Quel che era una speranza di vita per lei e i suoi cari, diventata voglia di macellazione del nemico ebreo. L’integrazione è davvero possibile? Nella difficile esistenza della famiglia Sawhil c’è una domanda d’asilo in Svezia, che però fu respinta per le regole Ue sul primo Paese dell’Unione in cui entra il rifugiato e da cui deve essere gestito. La famiglia quindi tornò in Germania e presentò domanda d’asilo. Le autorità tedesche la respinsero, ma non si persero d’animo e ricorsero in appello. Anni dopo arrivò la cittadinanza.

 

 

 

CITTADINANZA OTTENUTA

Ma quel che va ricordato di quelle traversie, fu una frase del sindaco di Rostock, Roland Methling, che promise che avrebbe fatto tutto quanto fosse in suo potere per aiutare famiglie residenti nel suo territorio come i Sawhil a rimanere in Germania. «La Germania, l’Europa e specialmente la Palestina hanno bisogno di figure come Reem», scrive il borgomastro di Rostock. Chissà se lo pensa ancora. Perché quella ragazza non gioca più con i peluche che mostrava ai giornalisti a cui raccontava la sua storia. Ora sogna uno Stato palestinese senza ebrei di mezzo, “dal fiume al mare”. E nella Germania di oggi, quello slogan inneggiante alla “Palestina libera” coniato da Hamas e dalla sua propaganda, è vietato. Ma su Instagram quel divieto è stato sfidato da Reem.

Allora, l’Occidente – attraverso la figura di Angela Merkel di fronte alla ragazzina – appariva freddo, cattivo, insensibile rispetto alla tragedia di chi veniva dai campi profughi libanesi. Oggi, tutto è capovolto, ed emerge per intero l’avversione verso Israele. Fino alla morte, alla scomparsa di tutti, al nuovo Olocausto. Che effetto può fare alle famiglie degli ostaggi nelle mani di Hamas quel post su Instagram? Quale reazione può scatenare negli uomini di Israele in divisa un’immagine così cruda?

 

 

 

Si dirà che quella ragazza non più giovanissima non potrebbe pensare altro di Israele, dei suoi abitanti. È la cultura in cui è cresciuta, ma è anche la peggiore dimostrazione di quanto possa essere davvero complicato, oggi, poter immaginare due popoli e due Stati. Perché i palestinesi non ne vogliono sapere e la grande maggioranza di essi vuole cancellare lo Stato ebraico. E Reem lo ha semplificato drammaticamente col suo tragico post. Chissà quanti giustificazionisti ora si mobiliteranno per sostenere la sua posizione, perché ormai quel terribile dal “fiume al mare” sta diventando il grido di battaglia del filopalestinesi in tutto il mondo. Non sarà facile davvero uscire da questa crisi, se a 23 anni si può diventare un simbolo al contrario: allora con le lacrime a chiedere ospitalità; ora, con crudeltà, a rivendicare odio. Eppure, il 7 ottobre scorso, c’erano anche coetanei di Reem in quel rave, nei kibbutz e sotto i razzi di Hamas. Ma erano ebrei. Ora la belva è lei.