Arruolare Dio

Millenni di guerre sante per trovarsi all'Inferno

Marco Praticelli

Deus lo volt! Lo vuole Dio. Pietro l’Eremita volgarizzò il latino nella sua predicazione per costruire un esercito di cristiani e liberare il Santo Sepolcro dagli infedeli musulmani. Correvano gli sgoccioli del XI secolo e la “crociata dei pezzenti” infervorati espugnava Gerusalemme con l’inevitabile appendice di violenze che si aggiungevano a quelle sui campi di battaglia.

Non era la prima volta che la guerra si accompagnava all’arruolamento della (o delle) divinità. In epoca antica, tanto per fermarsi alla civiltà greco-romana, c’era proprio un dio della guerra al quale si dedicavano sacrifici per propiziarsene i favori, Ares-Marte, ritenuto “il più detestabile” del Pantheon ma anche, ovviamente, il più temuto.

Poi arrivò il cristianesimo. Considerato che Marte era in ribasso, l’imperatore Costantino pensò bene di impetrare i favori del Dio unico e, pur di battere l’usurpatore Massenzio a Ponte Milvio nel 312, alla vigilia della battaglia fece disegnare una croce sugli scudi dei suoi legionari seguendo la suggestione di un sogno premonitore con una scritta in greco del monogramma di Cristo (XP) poi traslata nel latino in hoc signo vinces. E vinse, col risultato di sdoganare il cristianesimo come religione e con l’editto di Milano del 313 proclamare la libertà di culto dopo tre secoli di persecuzioni. Per inciso, pur essendosi autoinvestito del titolo di pontifex maximus, Costantino si convertirà solo in punto di morte. La suggestione dell’unione tra potere temporale e spirituale si consolidò nel mito che i re erano tali per volere divino e quindi da lui legittimati e intoccabili. Per questo lievitarono nel tempo il sacro rispetto per la persona, con la configurazione della lesa maestà come crimine gravissimo e persino le credenze di poteri taumaturgici derivati da Dio. Non a caso l’impero universale cristiano fu “sacro” e “romano” fino all’Ottocento, vocato a essere anti-infedeli islamici (che a loro volta lo ritenevano un covo di infedeli da convertire a colpi di Jihad), senza che questo impedisse ai re cristiani di scannarsi tra di loro con guerre dinastiche, di conquista e di religione.

 

Persino il Papa, con la donazione di Sutri del 728, legittimò il suo potere temporale che si sgretolerà il 20 settembre 1870 con la breccia di Porta Pia. E poiché era il rappresentante di Cristo sulla terra, la prima cannonata dell’esercito italiano dei Savoia venne fatta sparare da un ufficiale di religione ebraica che non aveva nulla da temere dalla scomunica per questo gesto sacrilego. La scomunica, peraltro, Pio IX l’aveva già comminata a Vittorio Emanuele II e a Cavour nel 1855, ammonendo pure i cattolici nel 1868 con il non expedit, ovvero la non opportunità di partecipare alle elezioni del pseudo Rex Italiae e il divieto per i vescovi a partecipare alla vita politica. I Savoia, che pure avevano una bella croce bianca in campo rosso nello stemma di famiglia, con l’acquasanta ebbero un rapporto conflittuale e neppure il concordato del 1929 ammorbidì la posizione di rigetto di Vittorio Emanuele III, peraltro pure massone.

Ancora più complesse le implicazioni tra fede e politica nella monarchia inglese: Riccardo Cuor di Leone nel 1198 aveva adottato in guerra il motto Dieu et mon droit contro i francesi, che poi Enrico V nel XV secolo farà diventare quello dello stemma reale arrivato a oggi. In Spagna Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, sovrani cattolicissimi, nel nome di Dio e col decreto di Alhambra del 1492 cacciarono tutti gli ebrei costringendoli a spargersi in Europa. Cattolicissimi anche gli Asburgo, che nel 1848 minacciarono lo scisma per l’invio di truppe pontificie al fianco di Carlo Alberto di Savoia nella prima guerra d’indipendenza.

 

Napoleone Bonaparte aveva tagliato corto sui radicalismi rivoluzionari francesi e nel 1800 si era incoronato da solo pronunciando la frase «Dio me l’ha data e guai a chi me la tocca». Ci penseranno l’anglicano Wellington e il protestante Blücher a Waterloo a togliergliela a Waterloo nel 1815. In ambito tedesco i monaci-guerrieri dei cavalieri teutonici adottarono da subito il «Gott mit Uns» (Dio è con noi) nell’evangelizzazione a fil di spada dei pagani baltici, e quel motto avrà una certa fortuna finendo nel patrimonio dei re di Prussia poi imperatori di Germania e sulle fibbie dei cinturoni dei soldati del secondo e del terzo Reich. Dov’è Dio, si chiedevano i disperati di Auschwitz che lo invocavano in tutte le lingue senza avere una risposta? In Russia la rivoluzione bolscevica aveva spazzato via clero ortodosso e spirito religioso, e trasformate le chiese in granai, depositi e caserme. Mussolini, fiero di essere socialista anticlericale e ateo, in un comizio incitò platealmente e orologio alla mano Dio a fulminarlo, se esisteva, ma la sfida non venne raccolta.

Poi firmò i Patti Lateranensi ottenendone la nomea di “uomo della Provvidenza” e nel 1941 lanciò la Crociata antibolscevica in Urss. Persino Stalin, che pure aveva studiato in seminario, secondo la leggenda quando si sentì perduto sotto la minaccia delle armate di Hitler avrebbe fatto sorvolare Leningrado da un aereo con a bordo l’icona della Madre di Dio di Vladimir. La fede venne tirata fuori a sorpresa dall’esercito americano quando pianificò il primo bombardamento di Roma, il 19 luglio 1943, estromettendo dagli equipaggi dei quadrimotori in missione sulla capitale della cristianità i cattolici e i più accesi antipapisti. Nel nome di Dio si sono scatenati alcuni dei più efferati massacri della nostra contemporaneità, col terrorismo islamico che tiene il mondo sotto scacco. “Deus lo volt” è stato sostituito in arabo da “Allah Akhbar”, ma mille anni sembrano essere trascorsi invano.