Smascherati
Gaza, fake e video tarocchi: la cinematografia dell'odio
Cosa può esserci di più demoniaco? Un padre maciullato da una bomba mentre nasconde i figli, a loro volta mutilati e accatastati in cucina mentre un mostro in maschera ride, e si serve da bere. Una folla in festa che estrae un cadavere da un’auto e lo prende a calci, urlando «Allah Akbar!». Un gruppo di bestie tifose di calcio, in cappuccio nero e kalashnikov che-dopo aver stuprato, e ucciso le madri, e decapitato i figligiocano a pallone con le teste decollate dei padri. L’orrore. L’orrore allo stato puro in una sequenza di immagini durata 46 minuti dilatati in un’eterna follia.
FURIA DELLE TELECAMERE
È questa la sensazione di più di 2000 giornalisti accreditati, alla visione di quella sottospecie di documentario senza titolo né pietà che un Hamas registicamente soddisfatto, ha inviato alle sedi ufficiali dei governi di Israele e Stati Uniti. In uno sventagliare di telecamere nascoste e copioni intrisi nel sangue («Ciò che è scioccante in questi video è l’intensa gioia espressa dai terroristi durante il massacro», commentava, quasi tra le lacrime il Segretario di Stato americano Blinken), be’, l’eccidio delle famiglie ebree da parte di Hamas si è consegnato alla storia da solo. Ma il problema è un altro.
Le gesta di Hamas stesso, nella miglior tradizione del terrorismo islamico, si stanno lentamente insinuando nel mondo del cinema, televisivo, dei social, dell’audiovisivo in genere; al punto da manipolare la realtà in quello che gli studiosi coranici chiamano Taqiyya, nel significato dell’arte della dissimulazione e del rovesciamento della responsabilità. Sicché, con l’incedere del conflitto ecco che l’apparato mediatico rinfocola la causa. Da un lato c’è la sezione “fiction”. Per un Fauda filo israeliano che spopola su Netflix, ecco, per esempio, Qabdat al-Ahrar («Il pugno degli uomini liberi») serie ispirata a «episodi realmente accaduti». In cui si utilizzano immagini riprese all’epoca dall’ala militare di Hamas: inclusa l’abbagliante distruzione di un veicolo israeliano con un razzo lanciato da un elicottero, pochi istanti prima che l’automezzo cadesse nelle mani dei combattenti antisionisti. «I sionisti» spiegano i produttori «usano le loro serie per distorcere l’immagine del popolo palestinese». Da qui l’idea di recuperare la drammatica incursione nel novembre 2018 di un commando israeliano a Khan Yunes, a sud di Gaza, dove morì il comandante di Hamas Nur Barake; e di travisare la narrazione di Gerusalemme.
Basso budget, attori sotto la linea di galleggiamento, ma molto furore di sceneggiatura: la fiction ha spopolato nei territori come strumento per combattere «il vero volto criminale e oppressivo degli israeliani e le continue sofferenze dei palestinesi». E fa il paio con il recupero in programmazione nel circuito streaming di Shara Nasr Gilboa (“Il segno della vittoria di Gilboa”) altra serie prodotta l’anno scorso da Hamas che descrive la fuga nel tunnel «di sei militanti di Hamas e PIJ dalla prigione israeliana di Gilboa nel settembre 2021». E lì, in diversi episodi viene esaltata «l’architettura del terrore» ossia l’intricato labirinto -un’ossessione freudiana- dei tunnel eternamente utilizzati da terroristi come arma impropria piazzata sotto scuole, case e ospedali.
Poi c’è il documentario Eleven Days in May dedicato alla morte di 60 bambini palestinesi durante l’escalation militare avvenuta nel 2021 fa tra Israele, Hamas e altri gruppi terroristici di Gaza. Il docu-film è stato realizzato dai registi Michael Winterbottom e Mohammed Sawwaf – quest’ultimo convinto sostenitore di Hamas nonché premiato «per il contrasto alla narrativa sionista» (edalli!); e ospita la voce narrante dell’attrice premio Oscar Kate Winslet. Per The Jewish Chronicle, il suddetto lungometraggio è stato criticato «per la matrice propagandistica che omette scientemente i fatti chiave del conflitto scoppiato, risparmiando critiche ad Hamas senza menzionare le migliaia di missili mandati su Israele da Gaza (che furono la causa scatenante del conflitto), nonché i baby soldato utilizzati dai miliziani della Striscia di Gaza».
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
E per un The Green Prince-Il figlio di Hamas, film che narra la storia dell’erede di un leader palestinese che decide di diventare spia per Israele; bè, ecco ricircolare Farha, già –diciamo così- fuori catalogo Netflix. Farha è il lungometraggio diretto dalla regista giordana Darin J Sallam, incentrato sulla storia vera di una palestinese 14enne che assiste allo sfollamento forzato del suo villaggio da parte dell’esercito israeliano; non prima d’essere infilata nell’ambiente claustrofobico del vano provviste del padre. Questo per la sezione “fiction”.
Per la metaforica sezione “documentari” la fantasia messa al raccapricciante servizio della menzogna produce opere maggiormente degne di nota. Immagini spiazzanti per astuzia e inganno. I bambini in lacrime per la morte delle sorelle o ridotti a cadaverini avvolti in lenzuoli spacciati per vittime di Israele; ma che in realtà risalenti alla guerra in Siria del 2014. Le centinaia di “profughi” affamati nel deserto, che in realtà risultano contrabbandieri diretti in Egitto. Un finto incendio dell’ambasciata israeliana in Bahrein e una manifestazione pro Gaza a Chicago, completamente fotomontate. Cristiano Ronaldo mentre tifa Hamas e le impressionanti manifestazioni di sostegno dei tifosi dell’Atletico Madrid, i quali srotolano sulla curva dello stadio il bandierone palestinese: anche questo un falso. Trattasi di opere di un ingegno malato, sviluppate - come è ormai di tendenzadall’intelligenza artificiale l’ultimo strumento di distruzione di massa al servizion dalla disinformazione. La vera, pericolosa, bomba nucleare del consenso...
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