Il punto
Israele-Hamas, mediazione in stallo: l'illusione di inventarsi una pace
Il vertice politico convocato dal presidente egiziano Al-Sisi si è chiuso senza un comunicato finale per una sciocca ingenuità. Un vertice convocato dalla sera alla mattina per discutere una crisi antica come quella israelo-palestinese e infiammata dalla ferocia terroristica dei fanatici di Hamas il 7 di ottobre scorso, con 200 civili ancora in ostaggio, non doveva cercare, nella premessa di un possibile documento unitario, di condannare l’uno o l’altro contendente o entrambi. Una ingenuità grave per i tanti governi presenti, ma più ancora per la vecchia Europa, che dovrebbe aver sedimentato dalla sua storia come si affronta una trattativa complessa.
Immaginare di trovare una intesa con relative condanne su quanto è accaduto qualche giorno prima non poteva portare da nessuna parte, e così è stato. Il vertice, infatti, doveva solo discutere cosa si poteva fare da domani in poi, per raffreddare i legittimi sentimenti di una ira funesta di Israele e il dolore di una popolazione come quella palestinese martoriata dalla miseria e dai presunti fratelli, che fanno di tutto per esporre i deboli e gli inermi civili alle rappresaglie di chi ha il dovere di difendersi con ogni mezzo. Di questa ingenuità si e subito resa consapevole Giorgia Meloni, che non a caso finito il vertice si è precipitata a Tel Aviv per un incontro con Netanyahu, per spiegare ancora una volta la vicinanza italiana al popolo di Israele e che Hamas non era il popolo palestinese.
Detto questo, la politica deve ancora giocare tutte le sue carte per non alimentare sofferenze di massa anche per chi dovesse vincere sul campo di battaglia. Ha ragione il filosofo israeliano Noah Harari quando dice che le menti del suo Paese sono offuscate dal peso dei propri dolori al punto tale da non vedere i dolori degli altri invocando un ruolo di terzi. E i terzi sono innanzitutto l’Egitto, il Qatar, l’Arabia Saudita, la Giordania e gli Stati Uniti.
Chi ha finanziato Hamas da anni (compreso Israele, che pensava così di ammansire il mostro e di indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese), non solo deve smettere di farlo, ma deve impedire che lo faccia la teocrazia degli ayatollah iraniani, che nel nome del proprio Dio vorrebbero martirizzare il mondo. La parte moderata dell’Islam oggi deve far sentirla propria voce e la propria forza, mentre Israele, d’intesa con gli Usa e l’Europa, deve garantire una volta e per tutte la costruzione di uno Stato palestinese. L’intero Occidente dovrebbe inoltre farsi carico di uno sviluppo economico del Medio Oriente, perché la pace sarà un obiettivo tanto più facile da raggiungere quanto più si riduce la miseria che resta il terreno di coltura di ogni fanatismo religioso o irredentista.
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In questo senso, l’Italia giocò un ruolo importante negli anni ’80, quando trasformò un terrorista come Arafat in un interlocutore credibil,e tanto da fargli firmare nel 1993 gli accordi di Oslo con Rabin sotto gli occhi soddisfatti di Bill Clinton. Quelli erano accordi, però, ancora troppo debolì, ma pur sempre accordi in base ai quali, per la prima volta, i due popoli si riconoscevano e pertanto si legittimavano. Cosa mai è accaduto in questi venti anni in cui quegli accordi sono rimasti lettera morta? Di tutto e di più, ma elencare le responsabilità di ogni parte metterebbe da subito in discussione lo sforzo di domani, ripetendo l’errore del vertice del Cairo. Rilascio degli ostaggi e tutela dei civili nella operazione di terra che Israele non potrà non fare sono due punti di partenza possibili se “i terzi” di Harari sapranno essere convincenti. Sono quasi duemila anni che il mondo ebraico viene perseguitato, e quindi la società israeliana sa cosa è il dolore e la speranza. Oggi è dinanzi ad una prova che gli chiede più coraggio di quello che può dare una legittima reazione distruttrice colpendo anche chi non ha alcuna responsabilità ma sa anche che quella legittima reazione chiamerebbe altra violenza mentre lo sforzo da fare è la cattura e la eliminazione dei terroristi senza pietà e senza Dio. Mai come ora Israele ha nelle sue mani il proprio destino.