L'intervista
Alon Bar, l'ambasciatore di Israele in Italia: "Distruzione completa delle capacità militari di Hamas"
L’analisi di Alon Bar, ambasciatore di Israele in Italia dal settembre 2022, è estremamente realistica: «È la situazione peggiore in cui ci siamo mai trovati. Ma ne usciremo. E i nostri nemici si pentiranno di averci aggredito».
Ambasciatore, è stato detto che questo è l’11 settembre di Israele. È la definizione giusta?
«È difficile fare confronti. Ci sono alcune somiglianze e alcune grandi differenze. Ci hanno colto di sorpresa, ma non abbiamo avuto un aereo, o un missile, che si è schiantato su un edificio, non è stato un attacco a breve termine. In questi tre giorni ci sono stati terroristi liberi di muoversi sul territorio di Israele, che quando vedevano bambini e donne li massacravano o li prendevano in ostaggio. Qualcosa di terribile, credo che sia la cosa peggiore mai vissuta dallo Stato di Israele».
La solidarietà degli italiani è stata quella che si aspettava?
«Le mie aspettative erano alte, eppure abbiamo ricevuto più solidarietà di quanta ce ne aspettassimo. Da parte del presidente della repubblica e da parte del governo, con le facciate dei palazzi governativi illuminate dalla bandiera israeliana e con le parole del premier e del ministro degli Esteri. Ma anche da parte dall’opposizione, dei sindaci di Firenze e Milano e tanti altri. Abbiamo ricevuto un forte supporto da tutte le componenti della società italiana. Tra poche ore ci sarà una marcia importante vicino all’Arco di Tito e mi aspetto di vedere molte persone portarci solidarietà. Ora spero che questo sostegno duri. Ci attendiamo che l’Italia continui a sostenere il diritto – e anche il dovere – di Israele di prendere ogni misura necessaria per difendersi».
Non sarà facile. L’esercito israeliano sta per entrare a Gaza con tutta la sua potenza e molte cose cambieranno. Israele, come in passato, sarà accusata di condurre una guerra brutale e asimmetrica. Vi chiederanno di fermarvi, di trattare con Hamas.
«Dopo che abbiamo visto ciò di cui Hamas è capace, penso che non si possa usare la parola “brutale” per descrivere ciò che Israele sta cercando di fare. Saranno giorni difficili: difficili per noi, difficili per la gente a Gaza e ancora più difficili per Hamas. Ma siamo in guerra e non abbiamo altra scelta, tutto il resto abbiamo provato a farlo. In questi anni abbiamo ritirato tutta la presenza israeliana da Gaza e abbiamo cercato di aumentare il numero di abitanti di Gaza che lavorano in Israele, per aiutarli a condurre una vita dignitosa. Ma negli ultimi giorni abbiamo visto che Hamas non può essere la controparte con cui fare queste cose».
Ora l’obiettivo di Israele è la distruzione completa di Hamas?
«È la distruzione completa di tutte le capacità militari di Hamas e del suo centro di controllo a Gaza. Dobbiamo assicurarci che Hamas non abbia più la capacità di attaccare Israele. Purtroppo, sembra che la maggior parte dei suoi terroristi, se non tutti, sia nascosta all’interno degli edifici della popolazione civile.
Il nostro nemico non è il popolo palestinese e noi non vogliamo uccidere civili innocenti, ma non siamo più disposti a vivere sotto la minaccia continua di Hamas. Che è responsabile anche delle vittime dal lato palestinese, perché usai civili palestinesi come scudi umani».
Arrivati a questo punto l’ipotesi «due popoli, due Stati», di cui si è parlato per anni, ha ancora senso?
«Non potrà avere senso fintanto che Hamas continuerà ad avere un ruolo così forte nella società palestinese. Illoro obiettivo non è che ci siano due Stati, ma uccidere il maggior numero possibile di israeliani. I palestinesi non hanno avuto elezioni per molti anni. Una delle ragioni è che credono, e in effetti lo crediamo anche noi, che nel loro popolo Hamas goda di un maggior sostegno rispetto all’Autorità palestinese. Io spero che riusciremo a rinnovare il dialogo con i nostri vicini palestinesi e a trovare un modo per convivere, ma il momento per discuterne non è quando ci sono corpi di persone accumulati ovunque. Ne parleremo in futuro, e di certo il nostro interlocutore non potrà essere Hamas».
L’organizzazione terroristica palestinese ha centinaia di ostaggi, tra i quali, a quanto pare, due cittadini italiani. Israele ha sempre messo la salvezza della popolazione civile al primo posto, ma non si è mai trovato in una situazione simile. Stavolta che farà?
«Ci sono circa 130 israeliani tenuti in ostaggio dentro Gaza. Tra di loro ci potrebbero essere italiani, ma ci sono anche americani e persone provenienti da altri Paesi. La loro vita è molto importante per noi, ma ciò non significa che possiamo permettere ad Hamas di continuare a attaccare gli israeliani da Gaza mentre tiene prigioniere queste persone. La nostra richiesta ai palestinesi e ad Hamas - e dovrebbe essere una richiesta di tutti- è che almeno le persone innocenti, i civili, gli anziani, le donne e i bambini siano rilasciati senza condizioni. Ma è impossibile che noi non si faccia nulla fintanto che sono trattenuti lì, perché significherebbe consentire ad Hamas di continuare a massacrare gli israeliani».
La Santa Sede potrebbe condurre una mediazione tra voi ed Hamas?
«Chiunque voglia provarci è il benvenuto, e la Santa Sede potrebbe almeno inviare un messaggio importante dal punto di vista morale. Non per lo scambio di prigionieri, ma per rendere chiaro che ciò che fa Hamas- entrare in Israele, massacrare, rapire donne, bambini e anziani e tenerli come ostaggi - è totalmente inaccettabile. Avrebbe qualche influenza su Hamas? Non ne sono sicuro...».
Intanto nella Ue si discute su cosa fare degli aiuti economici ai palestinesi. Il presidente del consiglio dell’Unione, Charles Michel, sostiene che tagliare quei fondi accrescerebbe l’odio della popolazione e aiuterebbe Hamas. Israele cosa chiede a Bruxelles?
«Sinora la Ue non ha fatto abbastanza per garantire che i fondi europei non finiscano nelle mani di terroristi o di chi promuove la violenza. Quindi la mia richiesta alle autorità europee è che facciano tutto il necessario per assicurarsi che quei fondi non arrivino ad Hamas e a coloro che cercano di minare la convivenza, ma vadano a chi davvero vuole migliorare il tenore di vita dei palestinesi, in collaborazione con Israele. Sappiamo anche che in Italia c’è almeno una cosiddetta “ong” palestinese che raccoglie soldi per sostenere Hamas. Dicono che è per ragioni umanitarie, ma quando quel denaro arriva nelle mani di Hamas contribuisce allo sforzo militare contro Israele».
Dietro alla guerra ad Israele c’è probabilmente l’Iran, infinitamente più grande e forte di Hamas. Lo ritenete un problema di Israele o della comunità internazionale, Italia inclusa?
«Noi riteniamo che l’Iran sia un sostenitore permanente dell’instabilità non solo nei confronti di Israele, ma sulla scena mondiale. Fornisce alla Russia droni ed armi per attaccare l’Ucraina. Mina la stabilità nello Yemen. Mina la stabilità in Iraq. Sostiene organizzazioni terroristiche in Siria ed appoggia Hezbollah in Libano. L’Iran è un destabilizzatore globale sul quale la comunità internazionale deve fare pressione affinché chiuda il programma di armamento nucleare e smetta di sostenere il terrorismo e l’instabilità. La dichiarazione con cui i leader d’Italia, Regno Unito, Germania, Francia e Stati Uniti hanno appena chiesto agli estremisti di non favorire l’escalation partecipando a questo conflitto è diretta anche all’Iran. Crediamo che sia un messaggio importante, e che questi sforzi debbano continuare».
Sul piano internazionale molto, se non tutto, dipenderà dalla volontà politica degli Stati Uniti. Siete soddisfatti della risposta di Washington?
«Gli Stati Uniti stanno dando un contributo importante alla solidarietà internazionale per Israele. Il presidente Biden, nonostante alcune critiche che può aver mosso in passato al governo israeliano, ha fatto subito una dichiarazione molto chiara di sostegno ad Israele, alla quale ne ha fatte seguire altre, difendendo il diritto di Israele a prendere qualsiasi misura sia necessaria per evitare attacchi futuri. Ha anche inviato una flotta dall’area del Mediterraneo alle acque vicino Israele. Storicamente, Israele ha sempre avuto la capacità di difendersi da solo. Ma penso che ora sia importante, per noi e per il mondo, vedere che gli Stati Uniti dicono che Israele è loro alleato e che non intendono permettere ad altri di attaccarlo. Anche perché la nostra speranza è evitare l’escalation militare al confine settentrionale, dalla Siria al Libano».
Nonostante l’impegno degli Stati Uniti, non è detto che ci riusciate.
«Sono convinto che se Hezbollah o l’Iran decideranno di partecipare a questa guerra, si pentiranno di averlo fatto. Potrebbe volerci del tempo, ma alla fine se ne pentiranno».
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