A picco
Germania, adesso l'Europa trema: la bomba che può far saltare tutto
«Dobbiamo eliminare le barriere agli investimenti, sfoltire la giungla della burocrazia e agevolare gli imprenditori». La preoccupazione che traspare dalle parole del ministro dell’Economia tedesco è forte: i dati dell’ufficio di statistica federale diffusi ieri hanno certificato una stagnazione del Prodotto lordo nel secondo trimestre dell’anno, dopo la recessione tecnica a cavallo del 2023. Per questo, ha assicurato Robert Habeck, il governo «continuerà ad avere obiettivi ambiziosi», preparandosi, tra martedì e mercoledì prossimo, a varare un pacchetto di misure di stimolo.
Un’iniezione di risorse che appare sempre più necessaria, viste le cupe previsioni per i prossimi mesi. Secondo il Fondo monetario, la Germania sarà l’unico Paese avanzato a finire in recessione quest’anno con un calo del Pil dello 0,3%. Ma le stime dell’istituto di Washington sono le più ottimistiche. Le proiezioni di Deutsche Bank, diffuse ieri, vedono una contrazione dello 0,5% per quest’anno e un magro +0,3% per il prossimo. Ancora più negative le previsioni di Hamburg Commercial Bank: stante la frenata dei servizi, ai minimi da nove mesi a questa parte, gli analisti della banca si attendono un calo dell’1% tondo. Numeri che non possono che destare timori, anche perché il Pil tedesco è ancora di circa il 2% sotto i livelli pre pandemici. E poi una frenata tedesca rischia di mandare in affanno anche gli altri Paesi europei, a cominciare dall’Italia.
DIFFICOLTÀ
Per i prossimi mesi, il pericolo maggiore viene dal rallentamento dell’export, da sempre il traino della crescita. Come rileva l’ufficio di statistica federale (Destatis), nel secondo trimestre le esportazioni tedesche sono calate dell’1,6% su base annua (-1,1% sui primi tre mesi dell’anno). Una dinamica che risente delle difficoltà della Cina, un mercato di sbocco particolarmente importante per Berlino: nel 2022, l’export verso il gigante asiatico si è attestato a 106,8 miliardi di euro, su un totale di 1.577 miliardi (40,6% del Pil tedesco). Ma ieri alla lista delle statistiche negative si è aggiunto anche l’indice Ifo, elaborato dall’omonimo istituto di ricerca di Monaco, che segnala il quarto calo mensile consecutivo del clima di fiducia delle imprese: ad agosto il contatore si è attestato a 85,70 punti dai 87,30 a luglio, al di sotto delle aspettative.
In particolare, le valutazioni delle aziende sulla loro situazione attuale sono scese al livello più basso da agosto 2020, a 89 punti. «L’economia tedesca» ha affermato il presidente dell’Ifo Institute, Clemens Fuest, «non è ancora fuori pericolo, la traversata nel deserto continua». Da qui dunque la necessità di stimoli, ribadita ieri da Habeck, nel tentativo di rianimare “Il grande malato d’Europa”, come l’Economist ha definito la Germania. E di certo, al governo tedesco gli spazi fiscali non mancano: alla fine del primo trimestre, il rapporto debito-Pil si è attestato al 65,9% (quello italiano è al 143,5% e quello francese al 112,4%). E del resto Berlino non ha mai lesinato di utilizzare le maggiori risorse di cui dispone per sussidiare la propria economia, anche a discapito della concorrenza all’interno dell’Unione europea.
L’ultimo caso riguarda la costruzione di una fabbrica per la produzione di semiconduttori in Magdeburgo. Dopo alcuni mesi di trattative, a fine giugno il governo tedesco e la multinazionale Intel hanno raggiunto un accordo: Berlino metterà sul piatto ben 10 miliardi di euro di contributi, una cifra che nessun Paese in Europa potrebbe permettersi.
SOSTEGNI PUBBLICI
Ma basta scorrere le tabelle della Commissione Ue sugli aiuti di Stato autorizzati per rendersi conto che da anni la Germania inietta miliardi nella propria economia con l’acquiescenza di Bruxelles. Un dato su tutti: nel 2021, l’Italia ha erogato in sussidi 31,53 miliardi di euro, mentre Berlino 121,21 miliardi, il 36% del totale dei Paesi europei. Se si allarga lo sguardo agli anni passati, si capisce come l’attivismo di Berlino sul fronte degli aiuti di Stato faccia parte di una precisa strategia di politica economica. Secondo l’ultimo “State aid Scoreboard” pubblicato dalla Commissione, tra il 2011 e il 2021 la Germania ha stanziato in sostegni per le proprie imprese 540,4 miliardi di euro. La Francia, con un’economia che è all’incirca i due terzi di quella tedesca, ha speso in contributi 275 miliardi e l’Italia, che vale la metà del Pil teutonico, 108,5 miliardi.