Cambia tutto
Xi Jinping, "non lo sopportano più": perché la dittatura può crollare
La crisi della Cina è momentanea o è ormai congiunturale? Ne parliamo con Alberto Forchielli: imprenditore, opinionista talmente noto da avere avuto anche la consacrazione di una imitazione di Crozza, ed esperto di Asia senza sudditanze. La crisi è abbastanza strutturale. Perché si associa alla crisi del settore immobiliare, che è a sa volta strutturale. Il settore immobiliare in Cina è estremamente speculativo, e si è investito troppo. Si sono costruite case fino al 2050, di cui non c'è bisogno. Il tutto si associa inoltre alla poca voglia di spendere dei consumatori e delle imprese, perché ormai siamo alla fine di un modello che prevedeva investimenti, investimenti, investimenti. Investimenti pubblici, investimenti privati, ma soprattutto investimenti pubblici. Ormai la Cina è sovrainvestita, ha fatto 150.000 km di linee di alta velocità, anche la città più piccola ha un palazzetto dello sport da 20.000 posti. Non si sa più cosa costruire! Bisognerebbe dare i soldi in mano alla gente, perché possa consumare. Però questo non avviene perché, per spostare un modello di sviluppo da un modello intensive investment a un modello intensive consumer, sono necessarie enormi riforme che quel Paese non è disposto a fare. Anche perché devi togliere da alcuni per dare ad altri, sostanzialmente. E poi la gente non si fida più di Xi, per cui i consumatori non consumano e le imprese non investono. C’è una crisi proprio di confidence dell'attuale regime, che è meno solido di quanto appaia».
Viene al pettine il nodo di un’apertura economica che non è stata anche politica, o questa è una lettura occidentale?
«Questa è una lettura occidentale. Il punto vero è che Xi ha rotto le scatole. Il modello era: fate quello che vi pare, lavorate, consumate, risparmiate, fate, basta che non vi impegnate in politica. Ma Xi ha rotto quel patto. In Cina quando ci abitavo io bastava veramente non parlare male del regime, e c'era una libertà assoluta. Questo concetto Xi lo ha violato. Ha cominciato a dire ai cinesi che devono andare in guerra, che non devono andare più sui social network, che devono stare a casa quando non c'è bisogno di stare a casa, che non possono viaggiare perchè non gli dà il passaporto. Ha rotto le scatole alle imprese dicendo che devono avere il comitato del partito dentro l'impresa. Ha detto che le imprese private non sono più benedette. Non ha fatto la legge di tutela delle imprese private. La gente non lo può dire apertamente, perché la dittatura è ferrea. Però è un regime che ha rotto le scatole».
Però così alla fine il discorso della democrazia rientra. I parlamenti sono stati inventati apposta per permettere ai popoli di spiegare ai governanti che stavano rompendo le scatole, quando devono smetterla.
«Sì, ma i cinesi non è che vogliono un parlamento. Vorrebbero una persona più tenera al posto di Xi. Vorrebbero tornare a fare il comodo che volevano fare».
Ma appunto una cosa del genere senza democrazia diventa impossibile. I parlamenti non sono fini, sono appunto mezzi per ottenere questo. Che il potere non rompa oltre certi limiti.
«Sì, certo. Ma se lei scrive che cercano la democrazia non è corretto».
No. Ma anche se non la vogliono, se non la hanno il nodo non si scioglie...
«Sì, alla fine le dittature finiscono sempre male, se è questo che vuol dire. Alla fine è così».
Ma qual è poi l’effetto sull’economia mondiale? Da una parte il governo di Washington sta prendendo delle misure dure contro la Cina. Dall’altra, però, c'è stato un certo pellegrinaggio di responsabili del governo Usa per cercare dialogare con Pechino. L'immagine che ne viene è che da una parte gli Stati Uniti considerano ancora la Cina un avversario sisemico, ma dall'altra sembrano preoccupati che se viene giù l'economia cinese viene giù tutto. È così?
«Gli americani sono dei gran paraculi. L'altro giorno hanno approvato una legge che pone limito agli inestimenti in Cina su semiconduttori, computer quantistici e intelligenza artificiale. Mica bruscolini: i flussi degli anni passati erano intorno ai 50 miliardi di dollari. Quindi si bloccano grandi prospettive alle imprese americane che investivano in Cina e si fa un grande dispetto alla Cina perchè la Cina sull'investimento tecnologico americano ci contava parecchio. Ormai la rotta è quella. Anche il Congresso ormai è compatto, democratici e repubblicani. Andare contro la Cina. Ci sono però anche cose che non hanno a che fare con l’economia ma con la sicurezza nazionale, e su cui gli americani vorrebbero continuare a parlare. Sull’ambiente, ad esempio. E, soprattutto, gli americani sono preoccupati perchè i militari non si parlano più, mentre nello stretto di Taiwan ad esempio ci sono un sacco di incontri ravvicinati che potrebbero provocare l'irreparabile. Quindi vorrebbero scongiurare delle scntille di guerra, cosa che i cinesi per dispetto non concedono. Questo è un po' il concetto. Però gli americani, ripeto, sono dei gran paraculi. Un giorno va la Yellen, il giorno dopo va Blinken, tre giorni dopo approvano questa legge».
Le conseguenze per l'economia occidentale?
«Ma un cavolo! Se la Cina va in deflazione e ce ne esporta un po' non ci fa male, perchè anche noi vogliamo rientrare dall'inflazione. Se la Cina sta in deflazione vuol dire che le materie prime costano poco, a parte il petrolio perché c'è l'Opec, Anche i prodotti cinesi costano poco: meglio per noi! »
Ma la crescita cinese non era il motore dell'economia mondiale?
«È una storia che hanno montato i globalisti per farci credere che la Cina era importante. La crescita cinese fa bene ai cinesi, ma per il resto dl mondo è una grande fregatura. Quindi, a me questa deflazione cinese va benissimo».