Padova dichiara guerra a Macron, caso senza precedenti: cosa vuole la città
Place de la Concorde, l’obelisco si innalza, da secoli, nel cuore di Parigi. La Parigi più classica e monumentale, e il traffico sfreccia incessante intorno, giorno e notte. Un punto di riferimento, segno di grandezza e di potenza, che arriva dall’antico Egitto, tappa fondamentale della grandeur messa in scena da Napoleone, che trionfante l’ha trascinato fin qui dalle sabbie roventi dei deserti. Eppure... eppure se si guarda da vicino questo quadro sfavillante mostra delle crepe. Perché proprio alla base di questo monumento esemplare, durante un restauro del 2022, si è scoperto una sorta di graffito, che poi si è rivelato una vera firma: Belzoni.
Che storia è questa? Torniamo indietro, a qualche giorno fa a Padova durante un incontro organizzato nei Musei civici degli Eremitani. Ed è anche l’occasione per una garbata provocazione: l’obelisco è di Belzoni e allora la Francia dovrebbe restituirlo a Padova, luogo d’origine di Belzoni. Le affermazioni sono sottoscritte dalla studiosa Silvia Einaudi e da Marco Zatterin (vicedirettore della Stampa e biografo dell’esploratore padovano). E citano il fatto che nel 2022, durante un’operazione di restauro proprio dell’obelisco, scoprono appunto la firma di Belzoni.
Einaudi e Zatterin ricordano che nell’Ottocento era diffusa l’abitudine diffusa fra gli europei che viaggiavano lungo il Nilo di scolpire il nome su templi e colossi per dire «sono stato qui». Anche i cercatori di antichità degli albori, i pre-archeologici potremmo dire, incidevano statue e reperti al semplice scopo di stabilirne la presa di possesso, la cosa che più si avvicinava al concetto di certificato di proprietà. Sono almeno una decina le firme lasciate da Belzoni sui monumenti egizi. A cominciare dalla seconda piramide di Giza, dove si può leggere a caratteri cubitali di «essere stata scoperta il 2 marzo 1818 da G. Belzoni». Ricorderemo la figura straordinaria e poco conosciuta, nonché sottovalutata, di Belzoni, ma prima bisognerebbe ricordare la lunga “carriera” di “spoliazioni” intraprese dalla Francia, soprattutto nel periodo napoleonico.
Vere e proprie sottrazioni di beni e in particolare opere d’arte e oggetti preziosi, da parte dell’esercito francese e da funzionari napoleonici in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, e in genere in Europa centrale. Le spoliazioni vennero costantemente perpetrate nell’arco di venti anni, dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815.
PR Secondo lo storico Paul Wescher le spoliazioni napoleoniche rappresentarono «il più grande spostamento di opere d’arte della storia», che provocò gravi danni in quanto «è difficile stabilire con esattezza quante opere di valore unico andarono distrutte o disperse». Dai cavalli della basilica di San Marco, a Venezia, a numerosi quadri di Raffaello, la Maestà del Cimabue, opere del Beato Angelico, la Gioconda di Leonardo... no, questo no, il capolavoro è stato venduto, forse, dallo stesso geniale artista a Francesco I e dunque legittimamente in possesso francese. Comunque il bottino napoleonico annoverava oltre 500 opere, di cui circa la metà restituite nel 1815. Non solo in Italia, naturalmente. Confluite in quello che diventerà il Louvre. Il tema è sempre sensibile e lungi dall’essere risolto, se pensiamo ad esempio ai marmi del Partenone asportati ed esposti al British Museum.
Sul filo della provocazione lanciata da Padova, torniamo allora nella città veneta, nel quartiere del Portello nel 1778. Quartiere popolare e popoloso, dove nasce Giovan Battista, figlio di un barbiere. Cresce, anche in altezza, visto che supera i due metri, tra problemi e difficoltà, compreso il passaggio in un monastero romano, e una lunga stagione sui palcoscenici londinesi con la moglie Sarah, fino a che nel 1815 se ne va in Oriente, in Egitto, diventando, secondo alcuni, il vero padre dell’egittologia. E dopo aver dissepolto dalle sabbie di millenni tesori inestimabili finisce lui stesso semi-sepolto nelle sabbie del tempo, rispetto ad altri egittologi, come ad esempio il francese Champollion. Fino a quel Belzoni ritrovato ai piedi dell’obelisco di Place de la Concorde.