Tutto vero

Austria, Partito della Birra terza forza politica: la storia di quest'uomo

Filippo Facci

Una è uguale a una (birra). Smazziamo subito le battute tipo «è una cosa da ubriachi» o «si sono bevuti il cervello», ed evitiamo anche di saltare direttamente ai forum sui limiti della democrazia e su un auspicabile ritorno allo Statuto Alberti no. Ripartiamo dalla notizia: domenica il Partito austriaco della birra «Bierpartei» ha preso l'8,4 per cento alle elezioni presidenziali alle spalle dei soli ex presidente Van der Bellen e del candidato dell'ultradestra Fpoe Walter Rosenkranz. Il successo alcolico è giunto al grido di «Vivi e lascia vivere. (Tranne i bevitori di Radler)» quando per Radler si intende un misto di birra e limonata contro cui i birrini - non sappiamo come chiamarli - combattono una crociata tipo quella italiana contro la pizza all'ananas. Il leader è il 35enne Dominik Wlazny che viene presentato come ex cabarettista, rockettaro, medico e leader politico (questo l'ordine) e ha lo pseudonimo di Dr. Pogo: nella capitale, Vienna, è arrivato addirittura secondo; e anche qui smazziamo via- ma sino a un certo punto - spontanei paragoni con ex comici come Giuseppe Grillo (Italia) o Volodymir Zelensky (Ucraina).

Microstoria del partito della birra austriaco, utile forse per capirci qualcosa: nasce nel 2014 come progetto satirico che punta tutto sul web e sui social (già sentita) con primadonna assoluta la birra intesa come rito collettivo paragonabile al caffè espresso in Italia. Nei primi quattro anni neppure partecipano a elezioni.

 

 

NOME DI UN PEZZO ROCK - Il citato leader lanciò sul mercato un pezzo rock con lo stesso nome del partito e poi propose, tra altro, l'abolizione delle tasse sugli alcolici nonché una fornitura mensile di birra per i meno abbienti, come se in Italia il reddito di cittadinanza regalasse le pizze e non i soldi. L'attenuante è che, all'inizio, non era dichiaratamente una cosa seria, ma poi ecco la disgrazia: il successo, progressivo e oltre misura. Da qui la manciata di altre proposte tipiche da politici 2.0, e cioè tipicamente rilanciare la cultura dopo il Covid (tutti vogliono rilanciare la cultura, ma non è chiaro dove) e poi qualcos' altro su lavoro, povertà, diritti e tutto l'armamentario, sino ad annacquare con gli anni la matrice provocatoria, perché il partito, in effetti, aveva provocato qualcosa: se stesso. Dopo essersi fatto più serioso nelle tonalità usate per le Presidenziali, a Vienna, come detto, ecco il secondo posto assoluto: ed è importante, perché Vienna è come Milano, non è il Meridione che arranca coi grillini che beccano voti in proporzione a ignoranza e clientelismo. Poi vabbeh: gli alticci - i birrini - hanno anche proposto di piazzare una fontana di birra in centro, dopodiché restano da dire cose relativamente ovvie: che il partito è cresciuto soprattutto durante la Pandemia e cioè quando la gente era chiusa in casa spesso a navigare in internet, ed è sostenuto dai giovani oltre a essere il più seguito sui social, manco a dirlo. Fine della microstoria.

Ora la prima tentazione: metterla sul piano della compressione delle libertà individuali. Del tipo: quella austriaca è una reazione sacrosanta e libertaria ai crescenti divieti che ormai sono divenuti la misura dell'amministrazione pubblica, con la tendenza a regolamentare ogni cosa, con la politica medicalizzata che ormai spadroneggia e che tende a inglobare anche le dimensioni comportamentali dell'esistenza, tipo il bersi una birra in libertà senza essere accusati di pesare sulla sanità pubblica, e insomma, tutta la- peraltro sacrosanta- retorica sulle dittature di sempre nuove minoranze che opprimono sempre nuove maggioranze. E piacerebbe che fosse così, ma è una tentazione da bocciare: l'Austria - fatta salva una certa e nota e quadrata mentalità - è ancora un'isola relativamente felice, almeno rispetto ai fanatismi anglosassoni e scandinavi del politicamente corretto.

La seconda tentazione è ancora più banale, ma non dobbiamo averne paura, perché rimane lo stesso la più vera: non dobbiamo sentirci vecchi o culturalmente sguarniti, ossia, nel dire che internet è la nostra sciagura. Non serve ripetere il mantra della rete che ha ridisegnato il mondo, le incredibili possibilità di sviluppo e conoscenza che ha permesso: internet è anche l'orrendo ma irrinunciabile mondo dei social network e quindi un formidabile sussulto di ignoranza e dincompetenza ai danni della conoscenza, della competenza, di ancora osa «mediare» tra alto e basso come capita - per esempio - a classi politiche ora viste come inservibili.

 

CONSEGUENZE DEL WEB - Non possiamo chiudere i social, e neppure far pagare qualche centesimo a commento: che pure basterebbe a sistemare molte cose. E però anche e persino il partito della birra ci fa capire che c'è tutto un Pianeta ottusamente convinto che i social network siano neutri e irresponsabili (delle informazioni che veicolano) sicché la vera e sola dittatura, per ora, è quella di grandi piattaforme digitali che soltanto una politica «vera» e non massificata potrebbe regolamentare. Altrimenti, detto con simpatia e ottimismo, siamo alla fine del mondo, senza neppure aspettare una degenerazione nucleare. Paroloni, si dirà. E può essere. Quello che possiamo fare, e forse stiamo già facendo, è un niente attendista: dobbiamo decidere se sia meglio che le sirene della deriva internettiana vadano combattute prima o dopo che si traducano inevitabilmente nel disastro politico. In Italia, per esempio, le velleità del movimento perla rivoluzione digitale (Grillo, Casaleggio, i grillini) si sono elettoralmente schiantate alla verifica dei fatti, e ciò che ne rimane, ora, si aggrappa soltanto alla politica più vecchia del mondo come è quella dei sussidi. Può darsi che anche in Austria, prima di risvegliarsi con danni - e con postumi di sbronza, da birra - debbano prima caderci con tutte le scarpe. L'Italia per una volta è stata un'avanguardia.