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Webb, "telescopio omofobo": l'ultimo delirio, perché la Nasa finisce sotto accusa

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Gianluca Veneziani
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Siamo alla cancel culture spaziale, che in sé è anche una cazzata spaziale. Di fronte all'immagine immortalata dal telescopio Webb della Nasa, che ci ha consentito di vedere com' era l'universo 13 miliardi di anni fa, cosa fanno gli accademici? Provano un moto di stupore per la forza poetica della foto? Si pongono il quesito filosofico della piccolezza dell'uomo di fronte a tanta immensità? Esultano per le capacità della scienza e della tecnologia che ci permettono di fare un viaggio nello spazio e nel tempo? No, gli intellettuali politicamente corretti, tutti rattrappiti nelle loro ossessioni ideologiche, se la sono presa con lo scienziato cui è dedicato il telescopio, James Webb, amministratore della Nasa negli anni '60 e morto trent' anni fa, colpevole agli occhi dell'attuale sensibilità buonista di non essere troppo filo-Lgbt.

 

 

 

Il prof di Fisica all'Università del New Hampshire Chanda-Prescod Weinstein si è detto «arrabbiato con la Nasa» in quanto i suoi vertici si sono «rifiutati di riconoscere le informazioni pubbliche su Webb» che dimostrano come «non meriti di avere un osservatorio intitolato a lui». Il prof si riferiva al caso del dipendente della Nasa Clifford Norton, licenziato nel 1963 per «condotta immorale» dopo essere stato interrogato con l'accusa di omosessualità». E ad alcuni documenti tirati fuori dalla rivista Nature, secondo cui sotto l'amministrazione Webb «la Nasa aveva rimosso i dipendenti gay». L'astronomo americano Phil Plait ha rincarato la dose, notando: «L'osservatorio prende il nome da qualcuno legato a bigottismo e omofobia, e la Nasa ha fallito nel gestire la situazione».

 

 

 

L'allusione è alla petizione lanciata nel 2021 da quattro ricercatori per chiedere all'agenzia spaziale americana di cambiare il nome del telescopio, campagna rispedita al mittente dalla Nasa che non ha trovato «prove che giustificassero la modifica». A noi poco importa se Webb fosse o meno omofobo: spiace se lo era, ma di certo resta inutile la condanna etica retroattiva. Contano semmai i risultati scientifici per i quali vede il suo nome attribuito al telescopio, ad esempio aver lavorato al progetto che portò i primi uomini sulla Luna. Chi si sofferma sulle sue convinzioni sessuali è il classico esempio di chi vede il dito e non la luna. A fronte di questa polemica spazialmente corretta viene voglia di fuggire nello spazio, in cerca di più intelligenti forme di vita... 

 

 

 

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