Ricordate Togliattigrad?
Russia, quando Balbo, Don Camillo e la Fiat ci insegnavano a trattare con il Cremlino
Riconoscimento dell’Urss nel ’24 e vendita di know how e tecnologia italiana, accordi commerciali: il Regime e la Prima Repubblica compresero il Cremlino meglio di noi…
Balbo
“Se mi infastidisce? Ma no! La cantavano anche i contadini della mia terra” laddove terra è il ferrarese di inizio Novecento. A parlare è Italo Balbo, figura di spicco del Regime fascista, aviatore, trasvolatore… e in gamba quando si tratta di dare una risposta diplomatica ad un giornalista troppo curioso.
Nel 1928 ammarava con gli idrovolanti S-55 al largo di Odessa. La prima delle celebri Crociere aeree fece tappa in Urss, grazie anche all’interessamento ed al coinvolgimento dell’ambasciatore sovietico a Roma.
E mentre la folla di cittadini russi si radunava curiosa attorno agli equipaggi, le autorità sovietiche domandarono a Balbo di poterne acquistare ben 30 esemplari, ottenendone anche la licenza di costruzione.
Il velivolo icona del Regime, del suo prestigio internazionale, di cui esiste addirittura una trasposizione architettonica (mai visto il FIAT-Tagliero di Asmara?) divenne pop nella terra dei soviet. L’industria aeronautica italiana, inoltre, intascò una importante commessa…
Mussolini
Roma e Mosca: la prima, Capitale di un governo fascista; l’altra di un governo bolscevico. Eppure, il Regno d’Italia fu il primo paese occidentale a riconoscere l’Urss. Era il 1924, Benito Mussolini era da poco Presidente del Consiglio ed al Cremlino Stalin stava subentrando a Lenin.
Follia diplomatica? Semmai interessi economici, storici, culturali. San Pietroburgo (allora Leningrado) era stata costruita da Domenico Trezzini ed ancora oggi la città è uno dei centri culturali più vivi della Russia e l’ “origine” italiana è considerata motivo di orgoglio.
La comunità genovese sul Mar Nero, gli scambi commerciali, il fatto stesso che il giovane Josif Dzugasvili Vissarionovic (inseguito solo Stalin) scelse Ancona e Venezia come terra d’esilio quando era ricercato dalla polizia zarista, sono alcuni degli elementi che forse, all’epoca, hanno permesso di mantenere vivo un legame fra le due nazioni.
Prima Repubblica
Benché membro NATO, per tutta la Guerra fredda l’Italia mantenne strette relazioni con l’Unione Sovietica.
Dei 23 accordi di cooperazione sottoscritti dalla Repubblica Italiana con la Russia fra il 1948 ed 2007, 10 furono infatti siglati fra il 1948 ed il 1991.
Fra questi l’ “Accordo di cooperazione economica, scientifica e tecnica” e lo “Scambio di note sull’istituzione di un ufficio commerciale a Torino lo sviluppo di un ufficio industriale a Torino e di un ufficio italiano a Togliattigrad” di metà Anni Sessanta. Togliattigrad sarebbe stata destinata, grazie anche al supporto di FIAT, a diventare la “Detroit sovietica”, con una capacità produttiva di 600 mila veicoli l’anno. Celebre, a questo proposito, la la Zhigulì modello, soviet, della 124 nostrana. La joint venture italo-russa è proseguita sino agli Anni 90.
Non una cosa strana, intendiamoci: già ai tempi di Stalin Henry Ford aveva concesso la produzione, su licenza, della Ford Mod. A del 1927 all’industria di stato russa Gaz. Tuttavia, considerate le tensioni del mondo diviso in blocchi, la cooperazione italo-russa è qualcosa di davvero sorprendente. Benefici per i sovietici, motorizzati con mezzi certamente migliori delle vetture un duroplast e per il mercato estero dell’industria automobilistica italiana.
Don Camillo
“Chi ha avuto 20 milioni di caduti in guerra non può preoccuparsi dei 50-100 mila morti che il nemico gli ha lasciato in casa” spiega Don Camillo (Fernandel) allo sconsolato compagno Brusco (Sauro Urzì) ne Il compagno Don Camillo di Luigi Comencini.
Siamo nella prima metà degli Anni Sessanta e il prete emiliano è già un mito nel Bel Paese. In Russia lo conoscono, seppure bisognerà attendere tre decenni per vederlo pubblicato ufficialmente.
Nato dalla penna di un uomo libero, autentico anti-fascista e convinto anti-comunista, Giovannino Guareschi, Don Camillo è un fiero, patriottico e genuino sacerdote particolarmente avverso ai nemici-amici del Partito comunista di Brescello.
Ma di fronte alla sincera commozione del Brusco per il fratello (camicia nera caduta sul fronte russo la cui tomba è coperta dal grano), gli bastano poche parole per essere di conforto all’uomo e per interpretare il sentimento di un intero paese.
E’ difficile trovare esempi simili nella cinematografia nostrana, casi di un’analisi obiettiva affidata ad una battuta di pochi secondi, che unisce profondo realismo a sincera umanità.
Il vulcanico prete, inoltre, si diverte a smontare le convinzioni dei compagni italiani, ironizzando sulla loro visione, retorica ed idealizzata, di un paese che neanche conoscono ma che pretendono essere giardino dell’Eden. Notate qualcosa di attuale?
Come Peppone e compagni
Dai network ai talk show assistiamo quotidianamente a prese di posizione, nette, su vicende e paesi che in fondo conosciamo molto poco. Poca anche la conoscenza del passato da parte di un Popolo, gli Italiani, che sembra aver smesso di porsi domande, preferendo seguire ciò che media e web rifilano continuamente.
Su di un network nazionale, ad esempio, si sente associare il Battaglione Azov (sospetto di neonazismo) a presunti gruppi di militari italiani ed americani con posizioni radicali. Parole scandalose, infondate ma che mostrano quanto la situazione stia ormai sfuggendo di mano e quanto l’analisi della guerra sia affidata più ad una interpretazione ideologica che all’obiettività.
Si sapesse davvero cos’è il Battaglione Azov, nessuno avrebbe proposto un paragone tanto raccapricciante, specie con soldati (italiani) che hanno versato sangue per restituire pace e dignità a popoli oppressi.
La cancel culture anti-russa fa il resto, trasformando la protesta contro la guerra in un fenomeno di isteria di massa che certo non aiuterà a raggiungere una pace duratura fra Mosca e Kiev.
Nell’epoca del digitale, della conoscenza e della condivisione a portata di click, sembriamo essere dominati dagli istinti più primitivi. Per paradosso, la Prima Repubblica, prima dell’attuale tecnologia, seppe accantonare le divisione ideologiche a vantaggio di opportunità di sviluppo economico e sociale per il popolo governato.
Il quando ed il perché sia avvenuto un così drastico cambiamento di rotta resterà uno dei quesiti irrisolti della nostra storia recente.