Estremismi
Joe Biden attacca Donald Trump? La menzogna di fronte agli Stati Uniti: se questo è un presidente
Certo, non ci si poteva aspettare che Joe Biden facesse al Congresso un discorso di verità. È pur sempre il leader di una parte politica. Ma oggi forse l’America avrebbe bisogno di qualcuno che fosse un vero leader dicesse al Paese non una mezza verità, ma la verità tutta intera. Non si può dar torto al quarantaseiesimo presidente degli States quando dice che l'ostinazione con cui Trump ha rifiutato un anno fa il risultato elettorale, scatenando, in qualche modo, l'attacco a Capitol Hill, ha rappresentato un vulnus per la democrazia americana. Anzi, potremmo aggiungere, per l'idea classica stessa di democrazia liberale. Non ci si può però limitare a questa osservazione di facciata per capire i motivi profondi di quella sorta di insurrezione e comprendere come fronteggiare in futuro prevedibili altri stress test a cui le democrazie saranno sottoposte. Ciò che più non convince è, in linea generale, leggere la crisi della democrazia, come Biden ha fatto, con le chiavi interpretative del Novecento.
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Un anno fa non ci siamo trovati di fronte a una sfida fra democrazia e autocrazia, con da una parte i buoni democratici e dall'altra i repubblicani soggiogati dalla figura di un aspirante autocrate che, come Biden ha detto, ha messo il suo ego smisurato al di sopra della nazione. Prima di tutto, le spinte antisistema Biden dovrebbe cercarle anche in casa sua: se è vero che i repubblicani "sembrano non voler più essere il partito di Lincoln, Eisenhower, Reagan e dei Bush"; dall'altra parte gli stessi democratici sono oggi dominati da un estremismo politico che a mala pena Biden riesce a tenere a freno, tanto che la sua sembra essere dopo un anno una presidenza debole, incapace o impossibilitata a guidare con mano ferma la barca dell'America. Biden è appoggiato e condizionato da una pletora mai vista di socialisti integralisti che, essi sì, vorrebbero fare dell'America ciò che mai non è stata, uno stato nemico del capitalismo e della proprietà privata; da populismi e movimentismi che non conoscono l'abc della democrazia: da minoranze, anche intellettuali, che hanno fatto della lotta alle "discriminazioni" una nuova forma di intolleranza che anch' essa poco ha a che vedere con la tradizione politica americana.
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ATTO CONCLUSIVO
Capitol Hill fu lo scellerato atto conclusivo di una campagna elettorale violenta, dall'una e dall'altra parte; e distinguere la verità dalla menzogna, come Biden ha chiesto di fare, non è impresa così facile come lui crede o vorrebbe far credere. In sostanza, Trump, se si vuole, è un epifenomeno di un sistema politico che si è polarizzato su posizioni estremistiche e che è lo specchio di una società anch' essa polarizzata e incattivita, ove la "mente americana" si è davvero chiusa e la borghesia, che è la vera spina dorsale della democrazia moderna, tende sempre più a proletarizzarsi. Biden sembra non tenere conto di ciò, riducendo tutto, a livello interno non meno che internazionale, ad una lotta fra "società aperta" e fautori di società più o meno chiuse. A livello internazionale ripropone perciò con forza lo schema della guerra fredda, con la Cina che ha assunto il ruolo di principale antagonista al posto dell'Unione Sovietica. A livello interno invece parla da presidente di un'America che non c'è più: "questa - dice - non è una terra di re, dittatori o autocrati, siamo una nazione di leggi". È l'idea del patriottismo costituzionale, della vecchia tradizione repubblicana che fa del governo delle leggi e non degli uomini l'autentico spazio della libertà. Il problema sorge però quando le leggi non vengono più avvertite dal cittadino come imparziali. Oppure quando le cosiddette "azioni positive" fanno, per altra via, perdere alla legge quel carattere di universalità che deve necessariamente avere. L'impressione è che difficilmente, senza una seria analisi complessiva, si possa capire come salvare la democrazia. Né nascondere la polvere sotto il tappeto è una strategia che paga.