Retroscena
"Boris Johnson si dimette". Voci incontrollate da Londra. Indiscreto: le drammatiche conseguenze del coronavirus sul premier
Le voci, anzi una voce e non una qualsiasi, lo danno dimissionario a gennaio del prossimo anno, ma per il diretto interessato, ovvero il premier britannico Boris Johnson, si tratta di un "nonsense". Se infatti la ragione principale del suo presunto passo indietro fosse una salute malferma dovuta ai postumi dell'infezione da Coronavirus, come avrebbe sostenuto Sir Humphry Wakefield, secondo lo stesso premier non c'è balla più palese, una «sciocchezza assoluta» in quanto «semmai mi sento perfino meglio, avendo perso peso». Sir Humphry Tyrrell Wakefield è un arzillo ottuagenario, eccentrico britannico dalla lingua lunga e dallo spiccato senso dell'umorismo. Baronetto, ricchissimo, impavido cavaliere, avventuriero, esperto di antiquariato, collezionista di armature e di bypass (ne ha quattro), amico del principe Filippo è proprietario del castello di Chillingham nel Northumberland, imponente roccaforte del XIII secolo che egli stesso descrive come «il castello storico più infestato della Gran Bretagna». Tra quelle mura si narra del fantasma di una donna assetata e vestita di bianco apparsa a un cameriere o di voci misteriose che con qualche accortezza si possono distintamente udire nella cappella. Lo stesso Sir Humphry ama raccontare queste storielle ai visitatori dell'antico maniero e tra un fantasma e l'altro qualche giorno fa si è lasciato andare con una turista particolarmente curiosa sostenendo che l'amico Boris, che lui conosce bene in quanto suocero di Dominic Cummings, uno dei più stretti e fidati collaboratori del primo ministro inglese, soffre ancora degli effetti negativi del coronavirus e potrebbe dimettersi entro sei mesi. Paragonando il premier a ciò che conosce meglio si è dilungato sostenendo che è come un cavallo zoppo che torna a galoppare troppo presto e rischia di non riprendersi mai. La rivelazione avrebbe potuto rimanere nel castello assieme ai suoi fantasmi, ma vista la parentela con Cummings è lecito pensare che l'anziano baronetto effettivamente sappia qualcosa che avrebbe dovuto tenersi per sé.
I postumi del Covid potrebbero effettivamente aver accentuato una certa stanchezza in Johnson che non è tipo che riesca facilmente a rimanere imbrigliato in un ruolo troppo istituzionale. Arrivato a Downing Street con il compito complicatissimo di dare agli inglesi la Brexit che volevano, Johnson di fronte all'emergenza Coronavirus ha avuto la malaccorta idea di seguire il suo istinto non allineato. Ha scelto, per dirla ancora con Sir Wakefield, il cavallo sbagliato, quello della famosa immunità di gregge, e l'ha pagata cara, sia per il crollo di consensi che ne è seguito, sia perché lui stesso si è preso il Coronavirus rischiando la vita. Come un eroe tragico shakespeariano ha dovuto, suo malgrado, affrontare personalmente il nemico che lui aveva sottovalutato, rimanendo malamente ferito sul campo di battaglia. I sondaggi sono impietosi, secondo quelli istituzionali di Yougov gli inglesi gli preferiscono perfino il carneade Keir Starmer, attuale capo dei laburisti che nulla ha fatto per meritarsi tale fiducia da quando ha preso il posto dello sciagurato Corbyn. Secondo lo stesso Yougov i conservatori non sono mai stati così in basso dal 2017, in piena crisi Brexit.
La stessa Brexit peraltro è tutt' altro che conclusa, l'accordo con l'Europa non è ancora chiaro e la posizione di Johnson, che deve vedersela con la più grande crisi economica dal dopoguerra (certo non per colpa sua), non è quella di chi possa continuare a fare il gradasso nelle trattative. I conservatori godono di una maggioranza schiacciante al Parlamento e per questo la caduta del governo è ben poco probabile, ma un passo indietro del premier malmesso fisicamente e psicologicamente non è così inverosimile. Johnson in fondo è un pragmatico, la Gran Bretagna fuori dalla Ue in fondo l'ha portata ed è quello che doveva fare. Ha anche perso qualche chilo, adesso se la vedano gli altri.