Kabul, raid Nato fa strage

Silvia Tironi

Novanta morti, o forse 50, in parte civili o solo talebani. La confusione sulle vittime provocate dal raid aereo alleato di ieri nella provincia settentrionale afgana di Kunduz non è una novità. Tutti le stragi vere o presunte di civili, confermate, rettificate o smentite hanno seguito lo stesso copione. Ieri i jet alleati hanno colpito nel settore che la Nato ha affidato al Regional Command North, guidato dal generale tedesco Jorg Vollmer, l’area meno colpita dalla recente escalation delle azioni talebane. L’obiettivo del raid erano due cisterne piene di carburante diretto alle basi alleate e sequestrate dai talebani ad Angorbagh, colpite dalle bombe a guida laser mentre intorno ai veicoli erano presenti decine di miliziani e probabilmente anche molti civili. Il governatore della provincia, Mohammed Omar, ha inizialmente riferito di 90 morti per metà civili ma ha poi rettificato a 50/60 vittime più 30 feriti. Per la polizia locale un’autocisterna era finita sul letto di un fiume dove centinaia di civili erano accorsi per impadronirsi del carburante, merce di grande valore per le povere popolazioni di quella zona. Secondo il capo della polizia di Angorbagh, Baryalai Basharyar Parwani, il raid avrebbe provocato 60 morti dei quali 27 talebani, ma altre fonti locali hanno parlato addirittura di 2/300 morti e feriti. Numeri che probabilmente nessuno riuscirà a verificare con esattezza sia perché da quelle parti i morti si seppelliscono subito, sia perché i dati sui “danni collaterali” in Afghanistan sono sempre da prendere con le molle. In molti casi, documentati dalle forze Nato in un rapporto reso noto l’anno scorso, le autorità locali hanno “gonfiato” il numero delle vittime per aumentare il valore degli  indennizzi pagati dai comandi militari ai famigliari che variano dai 2.000 dollari versati degli americani fino ai quasi 7.000 sborsati dai tedeschi. Cifre non irrisorie in Afghanistan dove la vita umana vale molto poco e le retribuzione medie, per chi ha un lavoro, non raggiungono i 100 dollari al mese. Sulle vittime civili si innescano inoltre le speculazioni politiche. Il presidente afgano, Hamid Karzai, ha protestato ieri affermando che «puntare sui civili per qualsiasi motivo è inaccettabile» e che «civili innocenti non dovrebbero rimanere uccisi o feriti durante operazioni militari». Affermazioni quasi banali, utili a Karzai per aumentare le pressioni sui Paesi occidentali che lo accusano di brogli elettorali e corruzione, ma che non tengono conto della natura del conflitto in corso e sembrano dimenticare che i jet alleati in molti casi salvano proprio le truppe di Kabul cadute in imboscate talebane. Il comando tedesco ha subito affermato «che tutte le 56 persone uccise erano talebani» ma un portavoce della Nato a Kabul ha ammesso nel pomeriggio che gli ospedali dell’area di Kunduz riferivano di una ventina di civili feriti. Il segretario generale dell’Alleanza, Fogh Rasmussen, ha disposto l’apertura di un’inchiesta anche sull’onda dello sconcerto espresso da tutti i governi alleati. Negli ultimi due mesi i “danni collaterali” si erano ridotti quasi a zero grazie ai drastici tagli ai raids aerei imposti dal comandante alleato, il generale Stanley McChrystal. Le regole d’ingaggio prevedono però che i mezzi militari danneggiati o sottratti debbano essere distrutti per non farli cadere in mani nemiche, come ben sanno i britannici che hanno bombardato un costosissimo elicottero CH-47 della Royal Air Force, colpito e costretto a un atterraggio di fortuna. I talebani cercano di mischiarsi ai civili, facendosene scudo, per evitare o rendere più difficili e sanguinosi i raids aerei e spesso minacciano i capi villaggio di rappresaglie se non denunciano vittime civili. Lo scopo è quello di provocare sangue innocente che pesi sul sempre più fragile consenso dell’opinione pubblica occidentale alla presenza di truppe in Afghanistan. A giudicare dalle reazioni politiche in Germania e in Europa  ieri la propaganda talebana ha raggiunto il suo obiettivo. Gianandrea Gaiani su Libero