Blair: fieri delle radici cristiane

Dario Mazzocchi

Un lungo applauso ha salutato il discorso che Tony Blair ha tenuto ieri al meeting di Rimini di Comunione e liberazione. E l’ex primo ministro britannico (oggi inviato per l'Onu in Medioriente) ha risposto dicendo di essere “orgoglioso” di essere accostato al movimento di Cl e che l’essersi convertito al cattolicesimo, per lui, è come aver trovare un posto dove sentirsi a casa. “Andavo a messa già da molti anni, ma poi pian piano ho capito che la Chiesa era un luogo che mi corrispondeva sempre di più”. Radici cristiane - Parole importanti quelle di Blair, che ha atteso di completare la carriera di politico di sua maestà per ufficializzare il passaggio da anglicano a cattolico. Un primo ministro cattolico nella Gran Bretagna dove il sovrano è a capo della chiesa anglicana, non sarebbe stato digerito. Tant’è che per legge il capo di stato non può essere cattolico. “Nei nostri paesi abbiamo radici cristiane e dobbiamo esserne fieri – ha aggiunto Blair nel suo intervento -, e tenerli sempre presenti, del resto se vivessimo in altri paesi ci chiederebbero di uniformarci agli usi e alle leggi locali”. In Europa “ci sono valori comuni che tutti devono rispettare”. Ma all’ex primo ministro calza a pennello la figura del “nemo propheta in patria”, nessuno è profeta a casa sua. Perché nel Regno Unito le cose vanno diversamente. Il Londonistan - In seguito agli attentati del 7 luglio 2005 – e alle indagini che hanno confermato che gli esecutori erano terroristi islamici cresciuti Oltremanica -, l’opinione pubblica ha conosciuto l’esistenza della cosiddetta Londonistan: le aree suburbane della capitale “colonizzate” da cittadini musulmani, dove ai tribunali dello stato di diritto si sono aggiunti quelli che praticano la Shari’a, la legge secondo i principi della fede islamica. Dove l’autorità civile è sostituita da quella morale degli imam. Dove il common law britannico è quasi carta straccia. "La Chiesa va ascoltata" - La tendenza, invece di rallentare, si sta radicando e spesso i mezzi d’informazione portano alla ribalta notizie che confermano questo pericoloso fenomeno. La soluzione per Blair può passare dalla Chiesa, “voce spirituale che metterà la globalizzazione al nostro servizio e non ci renderà schiavi di essa”. Ma perché ciò accada, “la voce della Chiesa deve essere ascoltata e la Chiesa deve parlare in modo chiaro e aperto”.