L'isola di Lesbo perde la causa

Albina Perri

Atene - Le lesbiche ce l’hanno fatta: hanno vinto la propria personalissima battaglia contro gli abitanti dell’isola di Lesbo, in Grecia. Da Oggi le signore e signorine gay saranno legalmente autorizzate a usare il riferimento all’arcinota isola in cui visse la poetessa Saffo per definire la propria condizione sessuale. E’ stato infatti respinto il ricorso di alcuni abitanti di Lesbo che, indignati,  avevano citato in giudizio lo scorso aprile un gruppo di attiviste omosessuali di Atene, chiedendo al giudice di impedire qualsiasi "vergognosa" associazione tra il nome degli abitanti e quello dell'omosessualità femminile. I querelanti erano due donne, e un’uomo, l’editore della rivista culturale “Davlos”, Dimitris Lambrou, che avevano querelato la maggiore organizzazione nazionale per i diritti degli omosessuali, l'“Olke-Unione Greca Gay e Lesbiche”. Lesbo, per chi non lo ricordasse, è l’isola in cui Saffo, nota per la sua passione per le fanciulle oltre che per le sue struggenti liriche, visse tra il VII e VI secolo A.C. Il magistrato chiamato in causa da Lambrou e compagne, ripassando l’origine etimologica della parola "lesbica" non ha trovato nulla da obbiettare alla sua duplice accezione. Gli abitanti di Lesbo, pertanto, non hanno alcuna ragione di sentirsi insultati. Il termine “lesbica” può, infatti,  indicare sia l’ aggettivo che specifica determinate preferenze sessuali sia l’ aggettivo sostantivato indicante l'origine geografica. Anzi, secondo il giudice il riferimento all' omosessualità femminile non nuoce affatto all'economia dell'isola immersa nell’ Egeo orientale, tenuto conto che essa è frequentata da centinaia di turiste gay che vengono da ogni parte del mondo richiamate da iniziative promosse dalle varie associazioni di lesbiche, non soltanto locali.