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De Niro: "Trump è un buffone ma arriverà uno peggio di lui"

AdnKronos

Roma, 19 nov. (Adnkronos) - "Viviamo tempi strani, e l’imbecille qui in America di certo non aiuta… Io preferisco non chiamarlo neppure 'presidente', perché non è in grado di farlo, non ha alcun titolo. È un buffone. Se verrà rieletto diventerà davvero pericoloso, perché a quel punto non avrà più freni. Darà la grazia a chi vuole, se la darà da solo. All’inizio pensavo avesse un minimo di buonsenso, uno straccio di nozione morale. E invece no, è totalmente amorale, non possiede una bilancia etica. Trump è un pericolo per questo Paese e per il mondo. Lo dimostra ogni giorno. Quando è stato eletto ho pensato 'Devi dargli il beneficio del dubbio', ma è stato solo peggio di quanto potessi immaginare. Deve essere umiliato, demolito da qualcuno che abbia potere. Quelli che lui sembra rispettare devono contrastarlo e inchiodarlo alle assurdità che dice, affrontarlo nei dibattiti. Non perdonargliene una. E rimetterlo al suo posto". Basta una domanda sull’avanzata mondiale delle destre sovraniste per scatenare Robert De Niro. Intervistato in esclusiva da Vanity Fair (che gli dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 20 novembre) all’indomani del ritorno al cinema (e dal 27 su Netflix) nell’acclamato film 'The Irishman', l’attore leggendario paragona il presidente a un altro newyorkese, Bernie Madoff, il finanziere autore di una truffa colossale, proprio da lui interpretato due anni fa in 'The Wizard of Lies': "New York è una splendida città che vanta persone di grande successo, ma nel caso di Trump e di Madoff di grandioso c’è solo l’illusione. Un vero newyorkese li trova imbarazzanti, rappresentano il lato deteriore della città, quello oscuro. Sono orribili entrambi, solo che Trump è presidente. E lo è diventato per colpa di quello stupido reality, The Apprentice. Credo che quel programma possa aver avuto un peso, la gente non aveva molta voglia di chiedersi chi fosse veramente quest’uomo. È aria fritta, chiunque abbia un po’ di buonsenso se ne vergogna. Nel Midwest la gente lo vede e pensa: 'Ma sì, è uno a posto'. E invece è un cretino! Mai avuto interesse a incontrarlo. È un idiota. Uno che prende il telefono e chiama Forbes per spiegargli che ha un sacco di soldi. La gente è arrivata a votare uno che telefona alle riviste di gossip come se fosse l’ufficio stampa di sé stesso: siamo alla follia! Ha vinto con un margine strettissimo, ma a lui interessa solo una cosa: vincere. Quanto al bene del Paese, non sa che cosa voglia dire". De Niro, che proprio per l’avversione a Trump si è proposto allo show comico televisivo Saturday Night Live come imitatore dell’ex procuratore speciale del Russiagate Bob Mueller, teme però che il peggio alla Casa Bianca debba ancora arrivare: "L’aspetto più interessante di Madoff, per me, è il modo in cui è riuscito a costruirsi una reputazione, un’aura quasi mistica, quel tipo di credibilità che poi rappresenta la truffa definitiva. A lui riusciva. Quello che mi preoccupa, di uno come Trump, è che tra due o tre generazioni ci ritroveremo uno come lui ma ben più sveglio. Uno a cui riusciranno entrambe le cose, la truffa di Madoff e l’empatia con il popolo, e allora sì che ci sarà da aver paura". Nel film 'The Irishman', diretto da Martin Scorsese che ha lanciato la sua carriera in 'Mean Streets' e lo ha diretto in capolavori come 'Taxi Driver', Robert De Niro interpreta un personaggio realmente esistito: l’irlandese Frank Sheeran, che fa il lavoro sporco per il capomafia italoamericano Russell Bufalino (Joe Pesci), e attraverso lui conosce il discusso sindacalista Jimmy Hoffa (Al Pacino). Di irlandese De Niro ha in effetti la nonna paterna, ma il cognome gli viene dal nonno paterno che era di origini molisane, e dopo il primo viaggio in Italia in autostop a 18 anni, quando già era innamorato del nostro cinema ("I miei idoli erano Fellini, Antonioni, Pasolini. E Luchino Visconti. Ho adorato 'Rocco e i suoi fratelli', un grandissimo film. Una volta, a Roma, ho incontrato Renato Salvatori e mi sono avvicinato per salutarlo"), è spesso venuto per lavoro nel nostro Paese, dove l’hanno diretto Bernardo Bertolucci, Sergio Leone e Giovanni Veronesi. "L’italiano è una lingua che mi piace molto e che vorrei conoscere meglio", dice a Vanity Fair. "Quello che so l’ho imparato girando film in Italia, soprattutto 'Manuale d’amore 3' di Veronesi. Io parlavo un italiano tutto mio, da americano, naturalmente. Lavorare a quella sceneggiatura mi ha permesso di entrare in contatto profondo con l’italiano, di 'sentire' la lingua allo stesso modo in cui sento l’inglese", conclude.