Lo scenario
Onu, Putin dà scacco a Obama e diventa lo Zar del Medio Oriente
Non è un pareggio, quello tra Barack Obama e Vladimir Putin. I media occidentali (italiani inclusi) adorano il primo e hanno una pessima considerazione del secondo, e si sforzano di dipingere la partita in Medio Oriente come se fosse in equilibrio, con i due leader uniti contro l’Isis e divisi sul ruolo del «tiranno» siriano Bashar al-Assad. Ma la sfida si gioca sul terreno della realpolitik e non su quello della simpatia, e la squadra di Mosca è in vantaggio di molte lunghezze su quella di Washington. Ufficialmente la detronizzazione di Assad resta uno dei punti fermi della Casa Bianca, ma i toni usati da Obama davanti all’assemblea generale dell’Onu sono stati meno ultimativi che in passato. Il presidente statunitense ha ammesso che «il realismo obbliga a trovare un compromesso che ponga fine ai combattimenti e consenta di cacciare l’Isis», pur aggiungendo che occorre «una transizione guidata da Assad a un nuovo leader». Era il minimo che potesse fare, dopo avere insistito per anni sulla rimozione di Assad. Quello che Obama non ha potuto dire è che è morta l’illusione che avevano inizialmente gli Stati Uniti: quella di fare emergere un’alternativa più o meno “democratica” all’attuale presidente siriano. A conferma di questo, nei giorni scorsi a Washington si è diffusa la notizia che il Pentagono avrebbe dichiarato fallito il programma di addestramento e armamento dei gruppi militari anti-Assad, dopo che questi si erano arresi per consegnare armi e veicoli agli islamisti. Di certo alla Casa Bianca hanno realizzato che l’unica opposizione ad Assad oggi è l’Isis, che preoccupa molto più del dittatore. E questo è solo il primo punto in favore di Putin, grande difensore di Assad. Un credito importante al capo del Cremlino lo ha riconosciuto nientemeno che Philip Breedlove, il generale americano che comanda la Nato in Europa. Come riportato dalla rivista Breaking Defence, Breedlove ha avvertito che la Russia sta dislocando le proprie forze in Siria non per combattere l’Isis, ma per creare quella che in gergo militare si chiama «A2/AD», ovvero «anti access/area denial»: una “bolla” militare, basata innanzitutto sulla contraerea, posta a difesa di Assad e degli interessi russi in Siria, resi così impenetrabili alle forze occidentali. Sarebbe la terza creata dai russi, dopo quella messa a tutela della enclave di Kaliningrad, tra Polonia e Lituania, e quella realizzata in Crimea. Solo dopo aver realizzato questo obiettivo, ha aggiunto Breedlove, la Russia «farà un po’ di lavoro anti-Isis, per legittimare il proprio intervento». Così, dopo la Crimea, anche la Siria pare entrata stabilmente nell’area di controllo politico e militare di Mosca. Questo mentre l’influenza americana nella regione subisce un ulteriore colpo in Iraq: il governo sciita di Baghdad ha aperto le porte alla collaborazione strategica con Mosca, avviando uno scambio di informazioni d’intelligence con Russia, Iran e Siria in funzione anti-Isis. Un gruppo dal quale gli Usa sono tagliati fuori. Quando il premier iracheno Haidar al Abadi si insediò, nell’agosto del 2014, chiese subito aerei da guerra da usare contro i miliziani sunniti: i Sukhoi Su-25 russi arrivarono immediatamente, assieme agli istruttori, mentre gli F-16 americani ci hanno messo un anno per giungere a Baghdad. Grazie alla propria spregiudicatezza e alle incertezze degli Stati Uniti, Putin è diventato così l’interlocutore principale (militare, e dunque anche politico) dell’intero mondo sciita. Tutto questo senza compromettere i rapporti con l’altra metà dell’Islam, anzi: i leader sunniti di Arabia Saudita, Egitto, Marocco, Giordania, Qatar ed Emirati Arabi Uniti si recheranno a Mosca quest’anno. Quell’universo arabo che per decenni ha avuto come referente principale il presidente degli Stati Uniti, chiunque egli fosse, oggi guarda a Putin come all’unico leader internazionale in grado di stabilizzare l’area minacciata dal Daesh, lo Stato islamico. Persino a Gerusalemme il vento è cambiato. Umiliato dall’accordo che l’amministrazione Obama ha siglato con l’Iran, Benjamin Netanyahu ha deciso di aprire un canale diretto con Putin, che del regime iraniano è il principale sponsor. I due si sono incontrati a Mosca nei giorni scorsi: le divergenze tra Israele e Russia sono tante, soprattutto riguardo al solito Assad, ma ci sono anche importanti interessi in comune, e lo conferma il fatto che nel 2015 la Russia ha acquistato dieci droni per lo spionaggio militare prodotti dal gruppo Iai, le industrie aerospaziali israeliane. Velivoli che l’esercito russo ha subito usato al confine con l’Ucraina. Accanto a Netanyahu si sono presentati da Putin il capo dell’esercito israeliano, Gadi Eizenkot, e il capo dell’intelligence militare, Herzl Halevi: una delegazione ai massimi livelli. Il vero problema di Israele non è rappresentato da Assad, ma dall’Iran, alleato di Putin e di Assad, e dalle milizie sciite libanesi di Hezbollah, che ricevono armi da Damasco e da Teheran per usarle contro Israele. Netanyahu e i suoi hanno voluto capire fino a che punto Putin intenda difendere i loro nemici, e secondo il sito Debka, che attinge a fonti dello spionaggio israeliano, sono preoccupati dalla presenza in Siria del generale Saeed Azadi, capo delle Guardie della Rivoluzione, l’unità di élite dell’esercito iraniano. Il leader russo ha dato parziali rassicurazioni, spiegando che in questo momento i suoi alleati sono impegnati contro l’Isis e non intendono aprire un fronte con Israele. Ha anche chiesto agli israeliani di non attaccare più le forze siriane, come accaduto giorni fa nel Golan, e Netanyahu gli avrebbe risposto che Israele intende difendersi da movimenti di truppe che considera pericolosi. È stato comunque deciso che vertici militari dei due Paesi si consultino per evitare scontri in Siria tra i rispettivi eserciti. Il premier israeliano resta insomma diffidente, ma avere buoni rapporti col Cremlino è necessario anche per lui. di Fausto Carioti