Lo stato islamico

Parla il jihadista senza pietà: "Ecco perché ho violentato donne e sgozzato i nemici"

Nicoletta Orlandi Posti

Non ha nessun problema a dire che ha violentato donne, ucciso con il coltello o l'esplosivo. Anzi, nè molto orgoglioso. "Dobbiamo vendicare i fratelli sunniti e difenderli dallo straportere sciita - spiega - credo che in guerra sia tutto permesso, compresa la crudeltà. Come, del resto, dimostrano gli americani e l’esercito sciita di Baghdad quando compiono i loro massacri sulle popolazioni sunnite", dice Ahmed Hussein, un miliziani dell'Isis che combatte in Iraq per conto del califfo Abu Bakr al Baghdadi, che ha accettato di parlare con l'inviato di Repubblica Pietro Del Re. "In guerra tutto è permesso", ripete come un mantra il 29enne iracheno di Tikrit. Per tre mesi ha combattuto tra le fila dell’Isis, prima di essere catturato dai peshmerga curdi e portato in una prigione improvvisata a Kalak, nel Kurdistan iracheno. Hussein non teme per il proprio futuro. Dovesse essere giustiziato andrebbe incontro al martirio. Senza nessuna paura - "Non ci spaventano le critiche degli occidentali - spiega a Del Re - loro ragionano sempre in quanto individui, noi invece in quanto a popolo. Poco importa se io muoio, perché i miei compagni continueranno a combattere. E le assicuro che non basteranno tutte le armi atomiche del mondo a fermarci". Come lui la pensano anche anche i jihadisti stranieri, i cosiddetti foreign fighters che sono arrivati da tutto il mondo per combattere la guerra santa di al Baghdadi. "È un uomo molto ricco e molto generoso - conclude Hussein - grazie a lui, come ogni altro soldato ricevo ogni mese l'equivalente di 400 dollari. E mi danno anche la benzina e le bombole di gas gratis". Le donne - Del resto chiunque finisca nelle mani dell'esercito dell'Isis ha solo una chance per vivere: convertirsi all'islam. "Lo Stato islamico offre cure mediche gratuite, cibo ai più bisognosi, postoi di lavoro ai disoccupati - racconta Hussein - siamo un grande Stato, a tutti gli effetti. Abbiamo perfino aperto due fabbriche di armi vicino a Mosul". Per le donne e le ragazzine yazide la sorte è diversa. Vengono ridotte a schiave sessuali dei miliziani per poi essere vendute al migliore offerente. "Per combattere molti di noi sono costretti a vivere lontani da casa e dalle loro moglie per mesi – continua il miliziano iracheno – alle yazide offriamo l’opportunità di convertirsi e diventare brave musulmane. Molte hanno già sposato un combattente e si sono trasferite in Siria".