Lo scenario strategico
La grande paura: dopo Gazatocca a Egitto e Iran
di Gianandrea Gaiani L’escalation del confronto in atto a Gaza sembra inarrestabile. Lo dicono innanzitutto i numeri: mille missioni aeree israeliane e oltre 600 razzi palestinesi in appena quattro giorni. Per fare un paragone Hamas lanciò un numero simile di razzi contro il territorio israeliano nei 24 giorni di operazione «Piombo Fuso» scatenata dalle truppe di Gerusalemme nel dicembre 2008. Anche i dati sulla mobilitazione di riservisti israeliani sembrano indicare un imminente allargamento delle operazioni benché 75 mila riservisti richiamati in servizio inducono a pensare a qualcosa di più grosso del solo attacco terrestre a Gaza. Anche in questo caso il confronto col recente passato può fornire qualche indicazione. Alla fine del 2008 l’assalto a Gaza venne gestito con il richiamo di 10 mila riservisti mentre due anni e mezzo prima l’offensiva su vasta scala contro Hezbollah che investì tutto il Libano meridionale richiese la mobilitazione di 60 mila riservisti. Israele quindi sembra prepararsi non solo a invadere Gaza ma anche a un eventuale confronto con l’Egitto guidato dai Fratelli Musulmani, movimento a cui si richiama anche Hamas. Non a caso ieri il presidente del Fjp, il braccio politico dei Fratelli musulmani, Mohamed Saad al Katatni, ha chiesto che sia «rivisto» il Trattato di Pace con Israele del 1978, così come «tutti gli accordi con il nemico». Una richiesta che suona come una minaccia di guerra e accomuna i Fratelli Musulmani al partito salafita el-Mour e ad altri gruppi politici. Un Egitto sempre più schierato a fianco di Hamas difficilmente potrà svolgere il ruolo di mediazione nella crisi auspicato dagli Stati Uniti che (secondo indiscrezioni del New York Times) avrebbero comunicato la loro opposizione a un’offensiva terrestre su Gaza perché «provocherebbe vittime civili e rafforzerebbe Hamas». I 30 mila militari israeliani mobilitati intorno al territorio palestinese potrebbero essere pronti a muoversi oggi o lunedì con l’obiettivo di annientare le forze di Hamas e Jihad Islamica distruggendo i depositi di razzi sfuggiti ai raids aerei. Dei 600 ordigni lanciati circa 200 sono stati intercettati dal sistema Iron Dome, lo scudo anti-razzi operativo dall’anno scorso e schierato anche a difesa di Tel Aviv. Rispetto alla battaglia del 2008 Hamas dispone oggi di più razzi e con maggiore gittata come i Fajr-5 (il 90 per cento dei quali già distrutti dai jet secondo fonti militari), di missili anticarro e antiaerei provenienti dai depositi dell’esercito di Gheddafi e soprattutto può contare a Gaza su bunker e postazioni occultate progettati dai genieri dei pasdaran iraniani che realizzarono le linee difensive di Hezbollah che nell’estate 2006 fermarono l’offensiva israeliana in Libano. Il quotidiano Haaretz sottolinea che l’operazione «Pilastro di Difesa» può aprire la strada ai raid contro i siti atomici iraniani anche se sul piano militare si tratta di operazioni molto diverse tra loro. Il rischio è semmai che una lunga battaglia a Gaza (il comando israeliano ha avvertito la popolazione di prepararsi ad almeno sette settimane di guerra) allarghi il conflitto all’Egitto, agli Hezbollah libanesi o allo stesso Iran. Uno scenario che infuocherebbe il Medio Oriente facendo quasi dimenticare la guerra civile siriana ma che potrebbe concretizzarsi solo se Washington si smarcasse dall’alleanza storica con Israele. Forse proprio per questo la Jihad Islamica palestinese non crede che gli israeliani facciano sul serio e valuta la minaccia di un assalto a Gaza e il richiamo dei riservisti «azioni di guerra psicologica» come ha detto Ahmad al Mudallal all'agenzia iraniana Fars. «Non vorremo entrare a Gaza ma lo faremo se nelle prossime 24-36 ore saranno lanciati altri razzi contro di noi» ha dichiarato invece alla Cnn il vice ministro degli Esteri israeliano, Danny Ayalon. Presto vedremo chi sta bluffando.